• ' Mario Di Bartolomei tura del moderno oligopolio industriale. Per molti segni, tale linea ha già una sua direttrice segnata. Di fronte a prospettive di questo genere, si comprende come tutta 'la impostazione della riforma agraria rientri automaticamente nel tema più generale della politica globale di piano e degli strumenti e delle forze per combatterla. Siamo di fronte alla morte violenta, ma salutare, così di tutto il vecchio massinìalismo, come del vetusto ruralismo. In una situazione economica in precipitosa evoluzione si presenta - secondo una precisa intuizione del professor Saraceno -- un divario tra esigenze e tempi che rischia di mettere in pericolo la stessa politica di sviluppo economico, se non si riesce a seguirla e controllarla. Ne esce comunque fortemente ridimensionata la tesi che vorrebbe puntare tutto lo sviluppo futuro delle strutture agrarie sull'azienda contadina, mentre si afferma la convinzione che alla linea neocapitalistica in agricoltL1ra si potra contrapporre con successo, anche se non esclusivamente, la formazione di grandi imprese cooperative, gestite direttamente dai lavoratori della terra, o grandi imprese consociate di coltivatori diretti. I11teressanti spunti in questo senso sono stati già formulati da ambier1ti socialisti (siamo evidentemente ben lontani dalla monolitica postulazio11e della riforma agraria in generale e coatta, espressa dall'on. Romagnoli alla Conferenza agricola, in rappresentanza della CGIL). L'UIL ha a sua volta già formalmente proposto l'inclusione dell'impresa cooperativa fra i tipi di impresa più desiderabili. Il ruolo che la mezzadria potrebbe avere in una economia agricola come quella che si è sommariamente tentato di delineare, è quello del classico vaso di coccio fra vasi di ferro. Solo interessi particolaristici e vecchie incrostazioni solidaristiche possono co11sentire una difesa di tale forma di conduzione, in una economia agricola mondiale dove essa è totalmente assente. In Francia e in Italia, infatti, esistono la 1nezzadria e forme a1ìaloghe; ma mentre qui. essa rappresenta ancora il 33 per ce11to delle aziende, là è ridotta a rappresentare appena il 6,8 per cento. Siamo dunque isolati, anche nell'Europa dei Sei, con le nostre arcaiche istituzioni agricole, che stanno spopolando le contrade dell· Umbria, delle Iv1arche, dell'Emilia, della Toscana 1 • Consideriamo 1 Evidentemente, il processo di integrazione europea condiziona totalmente le azioni di politica agraria nazionale. Il « Rapporto » sembra non aver centrato l'importanza e la vastità del problema, limitandosi a generiche affer1nazioni di solidarietà europea ed a qualche inutile recriminazione su aspetti già ampiamente scontati della politica di mercato proposta dal Piano Mansholt. Il tema è molto vasto e merita di essere ripreso a parte. 78 Bibliotecaginobianco
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