Nord e Sud - anno IX - n. 26 - febbraio 1962

... La rottura dell'unanin1.ità nel P.C.I. revisionismo di fondo che, nel nostro Paese, è nell' ordine stesso delle cose. L'intervento dell'on. Longo e quello che Togliatti pronuncerà in chiusura di dibattito, prima delle conclusioni del relatore, prendono spicco per ragioni diverse da accademiche ed ingenue esigenze ideologiche. Il vice-segretario, che in novembre ha taciuto, esordisce avvertendo che « toccherà solo la questione dei rapporti tra partiti comunisti». Egli ha un'ambasciata da riferire: tra Mosca e Varsavia lo hanno informato che la formula togliattiana del « policentrismo » è considerata « equivoca »; tanto vale, dunque, rinunciarvi per conservare un ragionevole margine di autonomia, senza disturbare oltre il lecito Krusciov, la cui « aspra lotta » contro gli stalinisti è tutt'altro che esaurita. A questo proposito, il taciturno comandante « Gallo » ha anche una spiegazione da fornire ai colleghi del Comitato Centrale: il dissenso tra sovietici e cinesi va oltre le questioni astratte « della coesistenza pacifica, della evitabilità della guerra e del culto della personalità ». La vera sostanza dello scontro è economica: secondo Pekino, « i Paesi più avanzati (del sistema socialista) dovrebbero regolare il passo su quello dei Paesi più arretrati », cioè la Russia dovrebbe aiutare i cinesi, gli albanesi e quanti altri gover11i comunisti siano in serie difficoltà, anziché pretendere di portare il popolo sovietico allo stesso livello di be11essere degli Stati Uniti. Per la prima volta in Occidente, un dirigente responsabile precisa col massimo realismo i termini concreti della frattura determinatasi in campo comunista. Pekino, dunque, non è affatto arroccata su posizioni staliniste (come pretende la propaganda russa) e tanto meno si vota ad un dissennato bellicismo; più semplicemente ha bisogno di aiuto e fa appello alla coscienza internazionalista dei compagni sovietici, il che significa - semmai - tornare ad una visione leninista e trotskista della Rivoluzione mondiale. Ma Krusciov, buon allievo del generalissimo Stalin, da quest'orecchio non ci sente, anche perché, accettando il punto di vista cinese, dovrebbe rinunciare ai cardini della sua politica estera ed interna: la sfida economica lanciata ai paesi capitalisti, la coesistenza pacifica, la penetrazione nei paesi coloniali (attraverso una vasta gamma di aiuti), il passaggio della società russa alla fase comunista (che interessa fino ad un certo punto) attraverso la democratizzazione degli istituti sovietici (che interessa assai di più). Per conto suo, Longo aggiunge che la linea di Krusciov va sostenuta dai partiti comunisti occidentali perché « può offrire prospettive di una società più vicina alla sensibilità e alle aspirazioni dei popoli dei Paesi tecnicamente più progrediti del mondo capitalista ». 63 Bibl,io.ecaginobianco

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