Giornale a più voci maggioranza dei partecipanti all'incontro fu quella di tentare un controllo delle proprie esperienze, delle proprie certezze di tentare una verifica che fugasse inevitabili dubbi e, insieme, confortasse circa l'esercizio di un'attività assai contradditoriamente sentita e professata, sopratutto tra i critici-giornalisti. Non a caso perciò, superate le iniziali incertezze di un dialogo che - come disse Giorgio Guassardi - si era evitato di costringere su binari precostituiti, l'attenzione e gli interventi di molti mirarono subito a sottolineare uno degli aspetti più scottanti dell'attività del critico militante: i suoi rapporti con il mondo dello spettacolo. Fu abbastanza chiaro, allora, che una verifica della condizione del critico non poteva prescindere dalla verifica delle condizioni stesse del teatro italiano; e che il rapporto tra la prima e le seconde non può essere, come ~ non è, casuale. Il critico drammatico, si disse, ricalcando una tesi già dibattuta, non può avvicinarsi al teatro da puro intellettuale, non può intervenire solo al momento dello spettacolo e passivamente registrare un avvenimento che va invece valutato concretamente, in rapporto cioè ai problemi e alle esigenze concrete che lo hanno determinato. E come questo invocato « tecnicismo » non fosse inteso dai più come un limite, fu altrettanto chiaro allorquando si riconobbe a gran voce la necessità di rinunciare ad una « critica moderata» e l'opportunità, anzi l'utilità, di un intervento critico di « rottura», lontanissimo da ogni e qualsiasi solidarietà con la routine del teatro quotidiano. -Senza che lo denunciassero apertamente, i vari interventi sull'argomento sottolinearono le carenze di un atteggiamento critico tradizionale (il quale registra - scrisse Nicola Chiaromonte - « il fatto compiuto di una commedia messa in scena da certi attori, lodandola o criticandola genericamente dal punto di vista di un certo pubblico medio che non bisogna né deludere con un eccesso di cattiva qualità né criticare con un eccesso di novità e di polemica ») e la necessità quindi di una scelta, denunciata dal critico il più chiaramente possibile e, conseguentemente, illustrata e difesa. Insomma - e intanto fu uno dei risultati positivi dell'incontro - si sottolineò la « crisi» di una critica teatrale strettamente connessa alla « crisi» di un teatro italiano. Il maggior pericolo per l'esistenza del quale (questo il tema che, interessò principalmente gli intervenuti al convegno) fu ancora una volta identificato con le inadeguate « strutture » teatrali esistenti nel nostro paese. Si ripetettero, a questo punto, considerazioni an1piamente avanzate per il passato e riproposte quasi a sottolineare l'inutilità di certe denuncie che da anni, oramai, scivolano silenziosamente,. come acqua sullo strato oleoso che tiene, calma e compatta in apparenza, la vita teatrale del nostro paese. Venne sottolineato il progressivo isolamento del teatro dalla cultura e dalla società italiana. E venne « centrato», in tal modo, il male maggiore. L'attività della nostra scena di prosa è infatti, salvo rarissime eccezioni, culturalmente indefinita e, di conseguenza, assolutamente impopolare. Poiché (almeno a mio avviso) l'apparente dilemma tra una attività teatrale intesa 43 Bibli9tecaginobianco
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