Nord e Sud - anno IX - n. 25 - gennaio 1962

Giornale a più voci data dalla Corte al testo costituzionale è quella autentica, destinata a valere per tutti, nulla potrebbe obiettarsi al ragionamento secondo cui l'art. 559 è uno dei pilastri dell'unità familiare; se perfino la decisione, con le sue riserve e una serie di giustificazioni francamente inaccettabili, non ci inducesse a riflettere sul significato e sui veri motivi che ne hanno costituito la base giuridica e più ancora « sociologica ». La riserva posta all'inizio della 1notivazione ci fornisce un primo, importantissimo elemento per la ricostruzione della volontà dei giudici: « La norma impugnata, dal punto di vista della legittimità, nulla presenta nel suo contenuto e nelle sue finalità - è scritto nella sentenza - che possa qualificarla come violazione del principio di eguaglianza. Con tale norma non è stata creata a carico della moglie alcuna posizione d'inferiorità, ma soltanto è stato preso atto di una situazione diversa, adattandovi una diversa disciplina giuridica. Che poi tale disciplina soddisfi ogni esigenza e sia mezzo idoneo e sufficiente per le finalità prese in considerazione, è questione di politica legislativa e non di legittimità costituzionale.» Ma cosa significa tutto ciò? A parte ogni giudizio sulla « situazione diversa» che sarebbe alla base delle norme esaminate, la distinzione della Corte, a proposito dell'art. 559, tra politica legislativa - e legittimità costituzionale, appare assai fragile. I casi, infatti, sono due: o - secondo il dettato costituzionale - le disposizioni sull'adulterio dei coniugi sono un mezzo efficace per difendere l'unità familiare (rientrano cioè nell'an1bito dell'art. 29 cost. ultimo comma) e devono quindi dichiararsi legittime; o non lo sono, e allora, non facendo parte delle indispensabili eccezioni al principio di eguaglianza, la loro inconstituzionalità è indiscussa. Ma la valutazione spetta proprio alla Corte Costituzionale, trattandosi di interpretare l'art. 29 cost.: se così non fosse, il legislatore potrebbe stabilire che le norme più assurde rimanessero in vigore o fossero approvate, in quanto necessarie all'unità familiare, e l'organo della giustizia costituzionale dovrebbe consentire abusi e violazioni soltanto perché, secondo la legge ordinaria, l'una o l'altra norma è stata precostituita per il conseguimento di quello scopo. Una tale teoria condurrebbe a conseguenze cos~ gravi che, in nessun caso, potrebbe essere accolta, perché contraria, oltretutto, allo spirito della carta costituzionale e dell'ordinamento dello Stato. Il ragionamento seguito serve piuttosto a mettere in luce le esitazioni dei giudici e gli argomenti,_ di natura tutt'altro che giuridica, che hanno finito per prevalere. Il resto della motivazione è fin troppo esplicito in questo senso: la Corte cerca di spiegare e giustificare il principio di disparità accettato, sulla base di considerazioni socio-psicologiche: « Indubbiamente - affermano i giudici - il principio della fedeltà coniugale è unico e non soffre discriminazioni di carattere quantitàtivo. Tuttavia l'ordinamento giuridico non può del tutto prescindere, e di fatto non· prescinde, dalle valutazioni che si affermano, spesso imperiosamente, nella vita sociale. Ora il fatto che la moglie conceda i suoi amplessi a un estraneo costituisce offesa più grave che non quella derivante dalla isolata infedeltà del marito. Il diverso trattamento dell'art. 57 , Biblio~ecaginobianco

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