Nord e Sud - anno IX - n. 25 - gennaio 1962

Giornale a più voci conservatrice, quella che consentisse il n1aggior rispetto possibile per la legislazione ordinaria. Come in decine di altri casi, peraltro assai meno seguiti e commentati, la Corte ha mostrato di nutrire per le leggi vigenti un interesse che non è venuto mai meno e, attraverso una serie di ragionamenti fin troppo abili, ha eluso gli interrogativi di fondo suscitati dall'una o dall'altra questione. Ma, questa volta, si è trattato di un esempio addirittura clamoroso di tale tendenza; e un settimanale, a proposito dell'ultima decisione, ha scritto che i giudici « hanno impiegato un mese per stabilire che, davanti alla legge italiana, la donna non è uguale all'uomo». Non si può dar torto agli autori di così amare considerazioni; ma sarà utile chiarire nei suoi termini essenziali il problema esaminato nella sentenza del 28 novembre 1961 e prendere in considerazione gli argomenti che hanno indotto la Corte a sancire la legittimità della disparità dei coniugi nell'adulterio. Dal punto di vista giuridico, accanto agli articoli 3 e 29 della Costituzione, che proclamano l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, senza distinzioni di sesso, e più specificamente la parità morale e giuridica dei coniugi, con i soli « limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare», è ancora in vigore una legislazione matrimoniale che accorda al marito una posizione di privilegio. Il codice civiie, ad esempio, gli conferisce il titolo di capo della famiglia e obbliga la moglie a seguirne il domicilio e la condizione civile, ostacolandone il lavoro e la carriera. Quanto all'adulterio, la legge è di gran lunga più favorevole all'uomo sia nel campo civile, in cui l'art. 151 e.e. non ammette « l'azione di separazione per l'adulterio del marito, se non quando concorrono circostanze tali che il fatto costituisca ingiuria grave alla moglie»; sia penalmente, giacché il marito è punito solo « quando tenga una concubina nella casa coniugale o notoriamente altrove». L'unico caso in cui l'uguaglianza è perfetta è quello dell'art. 587 del codice penale: « chiunque cagiona la morte del coniuge nell'atto in cui ne scopre l'illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo e della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni». I coniugi, in altri termini, sono eguali per la legge italiana solo di fronte alla norma che, con la mite sanzione, giustifica, almeno in parte, il famoso « delitto d'onore ». Il compitu, ~enza dubbio assai grave, della Corte Costituzionale era quello di confrontare le norme ordinarie, sottoposte al suo esame, al dettato costituzionale e dichiararne l'illegittimità o invece l'aderenza, più o meno perfetta, al testo elaborato dalla Costituente. La difficoltà maggiore della decisione, in questo caso, derivava dal fatto che i giudici se avessero sancito l'incostituzionalità dell'art. 559 c.p. avrebbero provocato reazioni a catena, rimettendo in discussione tutta la legislazione matrimoniale italiana. D'altra parte, rientrava una simile scelta nei poteri della Corte? e, soprattutto, attraverso quale ragionamento i <~ quindici saggi » sono giunti a una sentenza di legittimità? Al primo interrogativo, si può rispondere con tutta tranquillÌtà in senso 55 Bibliotecaginobianco

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