Vittorio de Caprariis Il che vuol dire, appunto, che la democrazia è a tutt'oggi la forma politica ultima, la più complessa e la più delicata nei suoi meccanismi, ed anche la più vulnerabile in questi meccanismi medesimi. E di t~li meccanismi uno dei più delicati ed insieme dei più utili e necessari è proprio quello che porta alla formazione ed al funzionamento delle élites e quindi all'esistenza ed all'esercizio del leadership. Può esistere veramente una democrazia senza élites? A me sembra francamente di no. Si dice: lo Stato democratico rappresenta la maggioranza dei suoi cittadini o almeno quelle maggioranze che di volta in volta si formano intorno a grandi complessi di scelte e di decisioni politiche. Ma come si formano queste maggioranze? La risposta mi sembra evidente: esse si formano grazie all'esistenza tra lo stato e la moltitudine dei suoi cittadini di corpi intermedii, delle élites appunto, che pongono innanzi alla moltitudine dei cittadini in termini politici, e dunque sintetici, le diverse scelte possibili e le loro conseguenze a scadenza ragionevolmente lontana. Parimenti, questo Stato democratico, che rappresenta la maggioranza dei suoi cittadir1i, può esercitare i suoi compiti solo perché la élite politica che è stata investita del potere fa il cammino inverso a quello che ha fatto precedentemente con l'esprimere le scelte possibili e le loro conseguenze e con l'indicare la decisione più saggia, ossia ritraduce le decisioni politiche e sintetiche in atti di governo, di amministrazione, di legislazione e così via. Senza questa duplice funzione delle élites non esisterebbe da una parte alcuna effettiva vita associata democratica, e dall'altra alcuna reale possibilità di far vivere, negli atti concreti della vita associata quotidiana, quella che Rousseau chiamava la volontà generale. Chi si rifiuta a queste semplici constatazioni in nome di un 1nitico autogoverno, in nome di un dottrinarismo democratico di cui il meno che si possa dire è che non trova alcuna rispondenza nella realtà effettuale delle cose, proietta nell'avvenire l'utopia. Ed anche questo è un residuo settecentesco: come notava finemente più di vent'anni fa Carl Becker, fino a quando l'uomo ebbe una scarsa conoscenza del passato e del mondo circostante, fino a quando l'uomo tingeva dei colori del mito i fatti che andavano oltre la memoria dei padri, l'utopia, l'età dell'oro, l'epoca della felicità in terra, fu confinato nel passato remoto, nel paradiso terrestre perduto per la cattiveria degli uomini e per l'ira giusta degli dei. A mano a mano, invece, cl1e la conoscenza del passato si affinò e si estese, il paradiso terrestre di un passato immemorabile scomparve; e l'utopia fu proiettata nell'avvenire, nel momento in cui l'uomo sarebbe tornato alla prisca bontà della sua natura, liberatosi degli impacci della storia. Il dottrinarismo democratico continua 32 Bibliotecaginobianco
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