Le élites e la democrazia metallico provocante, quell'accento di sfida, che aveva nella formulazione della Teorica dei governi; ma non mi sembra che si possa dire per questo che abbia mutato di natura. D'altra parte possiamo rovesciare la domanda posta da Bobbio e chiederci: è concepibile. una teoria delle élites anche nel contesto di una dottrina realistica della democrazia, e dunque anche supponendo una duplicazione di élite di governo e di élite di opposizione, che prescinda dal connotato del1' organizzazione? Ed è possibile, nella realtà di un regime democratico, un'élite, di governo o di opposizione che sia, la quale non sia organizzata? Se lasciamo da parte, come credo si debba fare, la « cospirazione » tra i membri di un'élite (che coloriva in modo erroneo la primitiva formulazione di Mosca poiché restringeva fino all'assurdo l'applicabilità della nozione stessa e che ancora allarma il dottrinaris1no democratico di un Meisel), mi pare che la risposta a quelle domande non possa lasciar adito a dubbi. Ogni gruppo dirigente, all'opposizione o al governo, non può non essere organizzato. Questa organizzazione, lo ripeto, non ha i connotati della « cospirazione »; il che non toglie, tuttavia, che anche in un contesto democratico essa possa assumere (sia pure in grado minore) quelle forme autoritarie o addirittura patologiche che si verificano nei gruppi minoritari nei regimi autocratici. In conclusione, mi pare che si possa affermare che nel passaggio della dottrina delle élites da formula conservatrice a formula democratica non si constati un mutamento di natura della dottrina stessa; e che, comunque, dal silenzio di un Burzio o di un Dorso sul connotato del1' organizzazione non si possa dedurre che in un contesto democratico il concetto e la realtà delle élites prescindano dal momento organizzativo. Questa precisazione mi sembra rilevante ai fini del problema cui si è accennato di sopra, del problema, cioè, della discriminazio11e tra la dottrina delle élites in quanto formula conservatrice e la stessa dottrina in quanto formula democratica. Ma se non v'è un mutamento di natura nel passaggio dall'una all'altra, se non è la presenza o l'assenza del momento dell'organizzazione che consente di distinguere l'una dall'altra, dov'è, dunque, questo criterio formale di distinzione? A me sembra che questo criterio esista e che sia da cercare nella natt1ra di ciò che Gaetano Mosca chiamò la « formala politica». Non credo che possa esistere una dottrina delle élites, della classe dirigente, che r1on sia anche una dottrina della formula politica; ed è veramente singolare che nei dibattiti di Stresa questo problema sia stato del tutto trascurato, quasi che non esistesse affatto o fosse irrilevante. Parlare di minoranze dirigenti senza porre al tempo stesso la questione della formula politica equivale a parlare delle élites in astratto. Che cos'è, 27 Bibliot~caginobianco
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