Nord e Sud - anno IX - n. 25 - gennaio 1962

Le élites e la democrazia regime entro cui una certa élite o certe élites si trovano a funzionare, e determinare la democraticità di esse in funzione del grado di democraticità del regime. Poiché, dopo tutto, sarà anche il giudizio che noi daremo sul comportamento delle élites che ci servirà a stabilire il grado di democraticità di un regime, e non viceversa. E neppure si può far ricorso alla nozione della mobilità delle élites: sospetto che non vi sia, e non vi sia mai stato, regime al mondo in cui le élites siano, o siano state, perfettamente immobili, impermeabili ad ogni infiltrazione dall'esterno. Il discorso sulla mobilità diverrebbe automaticamente un discorso sulla maggiore o minore mobilità; e questo non consentirebbe di stabilire un fermo criterio formale di omogeneità delle élites ad un regime democratico, o di omogeneità di una teoria delle élites ad una teoria della democrazia. Le questioni di più e di meno non hanno mai portato troppo lontano. E qui val la pena di discutere una questione accennata da Bobbio e che è, a mio giudizio, di notevole importanza (e che purtroppo è caduta nel vuoto nel dibattito di Stresa) proprio ai fini del nostro problema. Bobbio ha rilevato che nella formulazione di Mosca il nucleo della dottrina della élite era costituito dalla nozione di « minoranza organizzata »; mentre, se ancora in Gobetti il momento dell'organizza- - zione conservava qualche rilievo, esso scompare del tutto in Burzio e in Dorso. Attraverso la distinzione tra classe politica al governo e classe politica all'opposizione si consuma l'idea che la classe politica stessa sia un blocco mo11olitico: « c'è allora da domandarsi - egli conclude - se in tal modo la teoria non abbia cambiato natura e non abbia perduto anche parte del suo mordente». La questione mi sembra importante e merita di essere discussa diffusamente. E conviene forse lasciar da parte il caso di Gobetti, sul quale credo che oltre alle teorie di Mosca influisse la dottrina leninista del partito come minoranza organizzata che aiuta la storia nelle sue fatiche maieutiche, e il quale comunque non poté approfondire, per la ragione che tutti conoscono, le sue intuizioni. Resta, dunque, il fatto che così in Burzio come in Dorso il connotato di organizzazione delle minoranze dirigenti rimane in ombra: non basta questo fatto a produrre un salto qualitativo nel · processo di sviluppo della dottrina della classe politica così come l'aveva teorizzata, poniamo, Gaetano Mosca, ed a mutare la natura della dottrina stessa, nel momento in cui essa è recepita in una dottrina della democrazia? Non potrebbe. individuarsi appunto in questo sbalzo qualitativo e nella conseguente assenza del momento dell'organizzazione il famoso criterio formale di distinzione di cui siamo alla ricerca? A me sembra che se si guarda al Mosca della Teorica dei governi e dei primi 25 Bibliotecaginobianco

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