Nord e Sud - anno IX - n. 25 - gennaio 1962

Vittorio de Caprariis Norberto Bobbio, proprio nella discussione che si tenne due anni fa a Stresa, che cioè « la teoria delle élites, combattendo una concezione mitica della democrazia, ha avuto la funzione di condurci a elabora~e una teoria più realistica della democrazia ». È evidente che in sede storica, in sede di storia della scienza politica, non si può sottoscrivere - l'affermazione di Meisel, che le dottrine di Mosca e di Pareto fossero una macchina di guerra anti-democratica ed anti-socialista (anche se l'appropriazione di tali dottrine da parte di certi movimenti politici a vocazione totalitaria può aver portato all'utilizzazione di esse nella polemica anti-democratica ed anti-socialista); ma si deve piuttosto valutare il loro valore e significato co1ne tentativo di spiegazione scientifica dei concreti processi politici. E posta la questione in questi termini appare chiaro che le dottrine di Mosca e di Pareto, pur coi loro limiti, costituiscono per noi una tappa decisiva in quel processo di smitizzazione del dottrinarismo democratico, che è pregiudiziale non solo alla corretta comprensione dei fenomeni politici ma anche, come ha appunto sottolineato Bobbio, per l'elaborazione di una più matura teoria democratica. Nè meno importante mi sembra l'altra precisazione dello stesso Bobbio, il quale, in una breve comunicazione presentata al congresso di Stresa del '59 e stampata nel volumet~o laterziano sopra ricordato, ha sottolineato la trasformazione della dottrina delle élite da formula conservatrice a formula democratica, ed ha ricordato come l'intuizione dell'importanza e del ruolo delle minoranze dirigenti, proprio in una società democratica, fosse già balenata alla fervida mente di Piero Gobetti, e come trovasse, poi, una più distesa elaborazione negli scritti di Filippo Burzio e di Guido Dorso. Nell'ultimo libro di Dorso, rimasto incompiuto per l'immatura morte dell'autore, anzi, la formula delle élites diventa un momento necessario di una teoria democratica, dal momento che la democrazia stessa non è più definita in termini di autogoverno, ma in termini di mobilità delle classi dirigenti in generale e dei ~eti dirigenti politici in particolare. E ciò rappresenta, certamente, un passo avanti sulle dottrine di Mosca e di Pareto; ed anche un passo avanti verso quella più realistica dottrina della democrazia di cui si diceva prima. A questo punto, tuttavia, si pone un problema: se è vero che la dottrina delle élites da formula conservatrice è potuta diventare formula democratica, cosa ci consente di distinguere la prima dalla seconda, qual'è il criterio che ci permette di stabilire quando quella dottrina è omogenea ad una teoria della democrazia e quando non lo è? Non mi sembra che si possa qu,i rinviare, ad esempio, al tipo di 24 Bibliotecaginobianco

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