Nord e Sud - anno IX - n. 25 - gennaio 1962

• • Marco Cesarini Sforza quotidiano e, passeggiando alla notte sulle lunari terrazze di Catanzaro con gli amici locali, non accadeva più di discutere del « begriffo » e della dialettica dei distinti quanto di industrializzazione ed emigrazione. Cominciavano nuove esperienze. Per esempio, mi accadeva di tornare nella stessa città a distanza di qualche mese, e non trovavo più questo o quel giovane che mi era stato presentato la volta precedente, che scriveva sul foglio locale o s'era messo al lavoro in questo o quel partito. Era andato via;· adesso abitava a Roma o a Milano, lavorava da Olivetti o in una casa editrice, presso una centrale politica nazionale o in un ente di stato. Le cose cambiavano. In quegli anni di silenzio, tutto era in continuo movimento. Quel!'« eclisse », purtroppo, aveva anche conseguenze gravi di mancata sorveglianza su questi mutamenti continui e successivi, di carente denuncia di queste piccole ma determinanti svolte locali. La pubblicistica meridionale di quegli anni s'impegna tutta, sia da parte democratica che da parte comunista, sui temi generali e generici della _rinnovata questione meridionale: da una parte viene correttamente identificata la natura squisitamente politica del problema e, con essa, la necessità della pianificazione, della scelta degli strumenti e delle forze con l'ausilio delle quali operarla e del contrasto di fondo tra qualità e vocazioni delle dirigenze nazionali e delle dirigenze locali; dall'altra si denunciavano le_mire del monopolio, le « con- · giure » antimeridionalistiche a ripetizione. Tutte cose belle e utili, da una parte e dall'altra. Ma il fatto era che io vedevo crescere senza sosta, come un corpo di orribile fungaia, le periferie di Bari e di Taranto, o rovinarsi certi paesaggi, le campagne cominciare a spopolarsi, i treni pieni di meridionali che risalivano fino a Torino e alla Riviera. La gente del Cilento scendeva giù nella piana di Paestum, i paesi a mezza costa erano abbandonati e altri ne sorgevano, di baraçche, lungo le strade di grande comunicazione, spostando i confini dei comuni e delle parrocchie, delle tenenze dei carabinieri e dei tradizionali mercati. E il posto dei primi trasmigrati era subito preso da gente che veniva ancora più dall'interno, dalle alte vallate, dalle montagne. Il povero inviato speciale, in qt1egli anni di frettolosa ridistribuzione di tutto, insediamenti umani e urbanistica, scelta dei mestieri e costume spicciolo, edilizia e rete delle comunicazioni, fallì in gran parte il suo compito di testimone e, infatti, quando arrivarono i dati sulla situazione (parlo della presentazione al Parlamento della prima relazione sullo stato e lo sviluppo della politica meridionalistica: un evento determinante e periodicizzante) ci si accorse che tutti avevamo sbagliato o per eccesso o per difetto, o per ottimismo o per pessimismo. A riguardare le mie carte d'allora trovo che, di tanto in tanto, riuscivo 118 • _Bibliotecaginobianco

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