.. • Marco Cesarini Sforza. si calavano le fantasie sostanzialmente conservatrici e reazionarie della cultura romana. Ma, proprio in quegli anni, la « civiltà» contadina così miticizzata esprimeva, per esempio in Sicilia, tutti i suoi orrori medioevali. Adesso partivo per il Sud alla ricerca di storie sulle « fibbie » calabresi e di dati sulla mafia palermitana. In realtà, come la prima « ondata» della riscoperta meridionalistica, quella verificatasi fra il 1946 e il _1954, che aveva portato alla luce i primi elementi d'una n.uova sociologia meridionale, la miseria e la ricchezza, i paesi senz'acqua e le campagne senza strade, la sottoalimentazione e l'analfabetismo delle popolazioni, come quella prima « ondata» s'era esaurita nel populismo culturale e nel sostanziale conservatorismo di parole d'ordine come quella della terra ai contadini, così la seconda « ondata», quella del 1955-1958, si risolveva in una sorta di impasse: sfiducia e sospetto per i portati della riforma agraria e dei finanziamenti della Cassa, nuovo disinteresse per tutto ciò che non fosse colore turistico, cronaca nera e curiosità locale. A sfogliare le collezioni dei giornali italiani di quegli anni, trovo i miei colleghi e io stesso impegnati a descrivere l'cmicidio di Tanu Alati o i cadaveri sulle « trazzere », i processi della malavita italoamericana e il folclorismo della nuova Assemblea Siciliana. Sta di fatto che quello che accadeva a Palermo,. con l'insorgere del milazzismo e l'alleanza tra i locali partiti della sinistra di classe e i baroni di Catania o di Caltagirone, era anch'esso un portato, ultimo e filtrato, delle teorizzazioni sulla « civiltà contadina ». A ben guardare lo slogan di Milazzo e dei comunisti, « la Sicilia farà da sé », è niente altro che la traduzione in termini politici delle miticizzazioni operate precedentem~nte in campo culturale e letterario: in fondo anche i baroni, anche i principotti e i grandi elettori, più o meno mafiosi, erano « dati » di questo << mondo », di questa « civiltà », « valori » originari, ancestrali e rispettabili. Ecco che l'autonomia siciliana viene vista in termini di chiusura e di opposizione al resto del paese, proprio come i letterati romani avevano teorizzato l'autonomia contadina in opposizione e in lotta con un progresso del paese che già s'intravvedeva doversi svolgere in termini di neo-capitalismo, progresso che non si voleva riconoscere e del quale, comunque, si intendevano negare ad ogni costo le effettive incidenze culturali e umane. C'era, naturalmente, più d'una ragione a questo decadimento dell'interesse meridionalistico. La restaurazione capitalistica indicava nel triangolo industriale il punto focale di ogni progresso: la soluzione del problema sembrava sarebbe venuta quasi automaticamente, magari a tempo lungo, ma inevitabilmente. Più sostanziale l'altra spiegazione, 116 \ Bibliotecaginobianco
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