Nord e Sud - anno IX - n. 25 - gennaio 1962

Cronache e Memorie il mito e la leggenda, l'antica « saggezza » d'una « civiltà » cosidetta ancestrale, e i « valori » e i « rapporti » d'una tradizione che aveva a suo solo fondamento la miseria fisica e l'ignoranza. Tornavo a Roma con le scarpe sporche della polvere e del fango delle strade meridionali, e gli occhi pieni della miseria e della inciviltà della gente, e ascoltavo, in trattoria, tra comunisti, cattolici e letterati, discorsi curiosamente oscillanti tra il marxismo e la mitologia, equivoche idealizzazioni e trasfigurazioni di quanto più d'ignobile e d'immobile c'era nel vecchio Sud, dubbi tentativi di storicizzare l'irrazionale e il subalterno e di estrarre da quella miseria, da quello sfasciume, niente meno che i valori d'una civiltà, d'una c11ltura e di una concezione della vita che qualcuno non esitava a presentare come rivoluzionaria e destinata a sostanziare il rinnovamento di tutto il paese. Furono quegli anni, tra il 1950 e il 1954, quando il Premio Viareggio venne assegnato a Rocco Scotellaro, i più difficili per il viaggiatore del Mezzogiorno. C'era un vero divorzio fra quanto andavano dicendo letterati e uomini di cultura, ai giudizi dei quali il giornalista anche più spregiudicato non può fare a meno di riferirsi, e quanto il giornalista stesso vedeva con i suoi propri occhi e sentiva sulla propria pelle. Carlo Levi scriveva: « Il problema del nuovo meridionalismo è di storicizzare, di portare alla storia il mondo contadino nel suo complesso, nel suo intero divenire, così come esso è e si va forrnando e modificando, e quest'opera deve essere fatta dal mondo contadino stesso per opera propria e con mezzi propri e originali. Non si tratta cioè di imporgli, per il suo bene, una storia esterna, eccetera, eccetera ». De Martino lasciava intendere le stesse cose o pressappoco. La ricerca sociologica, e la stessa validità pratica d'una sociologia di ricerca, erano sottoposte a un duplice attacco: da una parte a opera delle vecchie classi dirigenti, che avevano tutto da guadagnare nel tenere celata la realtà, dall'altra dai marxisti soddisfatti delle loro genericità sulla classe e che, comunque, rimandavano il giorno dell'intervento razionalizzatore, illuministico, a quello della presa del potere da parte del partito operaio. Allora, sì, che si sbrigliavano le fantasie: migliaia di operai del Nord e di quadri « politicizzati » sarebbero scesi nel Mezzogiorno a portarvi la rivoluzione moderna, come era stato fatto in Siberia. Per intanto, i marxisti sfruttavano la civiltà contadina per quello che poteva dare, iscrivevano le liste elettorali sotto il simbolo dei santi paesani e deglr strumenti dell'arretratezza, se non pure della magia locale (non il trattore, ma addirittura la zappa, il gallo, la campana), pubblicavano giornaletti contadini pieni di proverbi e di consigli spiccioli all'agricoltore, che erano le forme pratiche, minute, nelle quali 115 Bibliotecaginobianco

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