Nord e Sud - anno IX - n. 25 - gennaio 1962

Recensioni come, ad esempio, nell'industria delle automobili. Per queste ultime, il Bruni riscontra una precisa correlazione fra grado di ampiezza e intensità di capitale per addetto, mentre per le industrie a ciclo continuo tale relazione risulta . . ' . assai piu incerta. Nel capitolo finale, il Bruni svolge talune meditate considerazioni di politica industriale, in relazione al problema del Mezzogiorno. Le piccole industrie, egli osserva, non possono dare un serio contributo ad un programma_ di industrializzazione; esse soddisfano esigenze di un mercato strettamente locale e il loro sviluppo è più la conseguenza dell'aumento di reddito che la causa di esso. Occorre invece puntare sullo sviluppo delle medie industrie, che nel tessuto industriale italiano risultano particolarmente carenti. Tali industrie non possono evidentemente sorgere come iniziative isolate; ma « un con1plesso di medi ed anche di pi~coli impianti concen 4 trati in una regione limitata può realizzare molte delle economie di massa proprie dei grandi impianti» (p. 58). L'attenzione del programmatore dovrebbe quindi concentrarsi proprio sulle industrie di medie dimensioni: « Le grandi industrie nascono per iniziativa di potenti imprese, private o pubbliche che siano; le piccole si sviluppano in funzione dell'aumento del potere d'acquisto locale e dello sviluppo di altre industrie; le medie ... molto possono avvantaggiarsi di una buona programmazione. Un singolo medio impianto industriale che nasca in un'area sottosviluppata può essere travolto da circostanze avverse; un complesso di medi impianti concentrato in zone adatte può dare un contributo decisivo all'industrializzazione dell'area» (p. 58). Che valore si può attribuire ai risultati raggiunti nell'indagine del Bruni? Non si può nascondere l'impressione che la validità dell'indagine sia seriamente limitata dal metodo di elaborazione statistica impiegato. L'analisi dell'industria italiana è imperniata sul calcolo del coefficiente territoriale secondo la formula del Sargant Florence; ma è assai dubbio se, nel caso specifico dell'industria italiana, questo coefficiente costituisca uno strumento di analisi adeguato. Il coefficiente, lo abbiamo già osservato, rispecchia unicamente le divergenze fra la distribuzione territoriale di una singola industria e la distribuzione territoriale di tutte le attività industriali; come tale, esso non dà alcun indizio circa la concentrazione geografica dell'industria, ma segnala soltanto le divergenze fra distribuzione di un'industria specifica e distribuzione dell'industria in generale. Ne consegue che il coefficiente di concentrazione può dare indicazioni significative solo quando esso sia applicato all'analisi di un gruppo di regioni che si trovino ad un livello di sviluppo economico non eccessivamente divergente. Se il territorio che si esamina comprende insieme regioni avanzatissime sulla via dello sviluppo industriale e regioni di civi_ltà essenzialmente agricola, il coefficiente di concentrazione non dà più alcuna indicazione significativa. Un'industria potrà avere un coefficiente molto basso (il che vorrà dire che essa è distribuita in proporzione alla distribuzione delle attività industriali in genere) e tuttavia essere concentrata in una zona specifica del paese; viceversa un'altra 107 - Bibliotecaginobianco

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