Recensioni mente il Bruni, uno studio della distribuzione territoriale offrirebbe poco interesse, dato che l'ubicazione di esse è « fortemente perturbata da altre cause, quali: la deperibilità dei prodotti agricoli di base; la concentrazio,ne in certe regioni, per cause ambientali, della produzione agricola di base, unita alla deperibilità del prodotto o al troppo elevato costo di trasporto di esso », ecc. (p. 17). . Costretto a lavorare sui dati del Censimento, notoriamente poco esaurienti, il Bruni adotta come misura della dimensione aziendale il numero di addetti. Il totale delle industrie viene ripartito in cinque grandi categorie di ampiezza, che vanno da « piccola» (meno di 50 addetti) a « grande» (oltre mille addetti). Ai fini dell'attribuzione delle industrie alle diverse categorie, il Bruni non considera la dimensione media delle imprese che agiscono in quel ramo specifico, bensì la dimensione prevalente. Il criterio generale adottato per stabilire la dimensione prevalènte di un'industria è quello di individuare in quale classe di ampiezza si trovi almeno il 50% delle imprese che appartengono all'industria stessa; per maggiori dettagli su tale criterio, e sui criteri sussidiari che lo integrano, non possiamo che rinviare al testo. Già da questa classificazione iniziale emerge un primo risultato notevole, anche se non inatteso: circa la metà ·degli addetti all'industria manifatturiera lavora in impianti aventi dimensione « piccola ». Tale dimensione risulta quindi prevalente nella struttura industriale italiana. Rientrano in questa categoria minore le industrie alimentari, tessili, del vestiario, del legno, della carta, dei materiali da costruzione, la fabbricazione di taluni prodotti chimici, e alcune industrie meccaniche. Si tratta, come osserva il Bruni, « di industrie quasi sempre artigiane, che sono spesso legate all'eser- ~ cizio di un'attività commerciale al dettaglio, e soddisfano mercati territorial1nente ristretti». La classe di ampiezza «media» risulta invece scarsamente popolata, e questo costituisce un'altra caratteristica tipica dell'industria italiana. Relativamente più nutrite sono le classi di ampiezza più elevate, ove si trovano industrie della filatura, la meccanica di precisione, talune lavorazioni chimiche, la fabbricazione di autoveicoli e macchinari. Restano infine escluse dalla classificazione alcune industrie che non mostrano alcun grado tipico di ampiezza. Trovia1no in questo gruppo le attività più svariate: industrie dei dolciumi, tessitura della seta, lavorazione di canapa e lino, maccl1ine e apparecchi elettrici, biciclette, accessori per auto, ceramiche, ecc. A questo gruppo di industrie, il Bruni attribuisce particolare importanza: « Ci sembra, egli scrive, che questa classe di industrie senza ampiezza prevalente presenti un interesse non trascurabile ai fini dell'industrializzazione di un'area sottosviluppata. In un certo senso, non sussiste per esse il vincolo dell'a~piezza... Per queste industrie, la nascita di un nuovo impianto ... può essere programmata sia che il mercato si presenti limitato e povero, - nel qual caso ci si orienterà verso un modesto aumento della capacità totale di produzione, - sia cl1e esso si prospetti ampio e ricco.» (p. 20). L'idea che le industrie senza ampiezza prevalente godano 105 Biblio~ecaginobianco --: '
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