« pericolosa tendenza a ritenere che f ede in una società libera significhi fede che essa possa conseguire tutto ciò che è necessario senza alcuno sforzo o indirizzo. O che, al massimo, occorra semplicemente una formula magica. L' effetto di una dottrina come questa - una dottrina che ha furoreggiato negli ultimi anni ~ è di escludere per ragioni di pri:Qcipio una reazione efficace alla competizione sovietica. Significa che dobbiamo fallire perchè il riuscire violerebbe la nostra ideologia. Giacchè, in realtà, la maggior parte delle cose che una efficace competizione richiede sono cose che esigono anche una efficace leadership al livéllo di governo. Non vi è alternativa » (pp. 23-24). In questa gara per l' accrescim.ento e la rivelazione del1' eccellenza del sistema occidentale, bisogna convincersi, infatti, che, se vogliamo fare ciò che dobbiamo fare, non possiamo non pagare il conto. . Occorrono, quindi, uomini 1nigliori, preparati e spregiudicati: possedere capitali ormai conta assai n1eno che non possedere capacità tecniche, istruzione e cervello. Lo stesso sviluppo industriale dipende oggi non tanto dall'investimento di un maggior capitale, quanto dal migHoramento del fattore umano. Questo miglioramento del fattore un1ano, da servizio che era, è diventato investimento: e forse, per aver capito questo da parecchio tempo, i russi possono jmporre ·oggi · all'Occidente le frontiere della loro sfida. Un altro dei grandi problemi che si pongono agli Stati Uniti ed all'Occidente è quello di fronteggiare l'inflazione con la sola linea d'azione realistica: « qualche forma di intervento pubblico in quella parte dell'economia in cui il pieno impiego, o l'approssimai-si di una situazione di pieno impiego, comporta prezzi inflazionati e aumentati salari » (p. 69). La parte che viene dopo ( « Come rileggere la Storia ») riguarda la storia economica. E qui l'autore implacabilmente infrange i miti di uomini che sono sembrati grandi solo per montatura pubblicitaria, e le fame usurpate, che rischiano di far apparire il passato in una luce hTeale, causa appunto di quella che Galbraith definisce « nostalgia sociale ». Interessante sotto questo aspetto è H saggio su Ford, che, attraverso considerazioni spregiudicate, che ad alcuni possono apparire volutamente iconoclaste, giunge alla conclusione che il tanto osannato ideatore del famoso « modello T » ha fo1nito l'occasione di una vera e propria mistificazione , la prima delle fiabe industriali, costruite, come altri miti, dalla montatura e dall' automontatura pubblicitaria, argomento cui poi è dedicato specificamente un altro lucido saggio. Con la stessa lucidHà il GalJ.raith rilegge la storia della grande crisi del 1929, attribuendo, un pò cattedraticamente, le rispettive responsabilità agli uomini politici che avrebbero dovuto prevenire prin1a e curare poi il disastro. Un altro 1nito esa1ninato in questa seconda parte del volume è quello della « nostalgia sociale », da cui sono profondamente condizionati sia i conservatori che i progressisti. La nostalgia per gli ordinamenti del passato, infatti, porta regolarmente alla conclusione che essi sono migliori e che dovrebbero, se possibile, essere restaurati, pur senza identificarsi con alcun particolare ordinamento politico. Di qui, poi, anche, la nostalgia per le çittività tradizionali (agricoltura e artigianato) ed i conseguenti consigli ai paesi arretrati di curarne lo sviluppo; e di qui, infine, il rimpianto della piccola impresa e della politica agraria liberista. _ La radice della « nostalgia sociale » consiste in definitiva nel fatto che, in generale, le vecchie istituzioni non sol127 . bliotecaginobianco I
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