Nord e Sud - anno VIII - n. 20 - agosto 1961

• ticolarmente (in quanto lo si ritiene, ed a ragione, veicolo culturale di notevole importanza), esso perde nello stesso intervallo di tempo il 60% del suo pubblico a Firenze, il 53% a Milano, il 43% a Genova, il 37% a Napoli, il 27% a Torino, il 18% a Roma e 1'11% a Bologna. Con gli stessi dati si può giungere ad affermare che non si reca mai ad assistere ad alcun spetta-_ colo di prosa il 97% della popolazione residente a: Napoli, il 95o/o a Torino, , Bologna e Genova, il 93% a Roma, 1'87% a Milano e 1'80% a Firenze. Ciò significa in parole povere che per una larghissima maggioranza di persone il teatro è ormai escluso dalla gamma dei bisogni sociali dell'uomo e nel migliore dei casi resta il privilegio di una minuscola casta formata sempre dagli stessi individui. Nè d'altra parte potrebe essere diversamente qualora si consideri che solo il 6% del complesso delle rappresentazioni del teatro in genere si è svolto i!} centri non capoluoghi di provincia. In sostanza quattro quinti della popolazione italiana risulta esclusa dalla possibilità di assistere e quindi di valutare ed eventualmente legarsi al teatro. Giustamente - dice Bergonzini - qui non ha senso porsi il dilemma se è il pubblico che debba andare al teatro . o il teatro al pubblico. Ma, a parte il problema della mancanza di teatri e del necessario ammodernamento delle strutture di quelli già esistenti, come può il teatro andare al pubblico in condizioni di economicità che permettano di assumersi iniziative? Dal 1954 ad oggi l'incasso medio per rappresentazioni di prosa è andato sempre scendendo fino a raggiungere nel 1959 il livello di 300.000 lire circa. Per coprire le spese di una rappresentazione (tasse, diritti, oneri sociali, pubblicità, assicurazioni, prove, percentuale al gestore, facchinaggio, ecc.) occorrono almeno 700/800 mila lire. Ecco quindi la necessità, perchè l'impresa risulti economica, di poter contare in partenza su contributi statali, premi, particolari agevolazioni. Abbiamo con ciò toccato uno dei punti più delicati della crisi del teatro e sui quali Zardi è maggiormente polemico. -Il contributo complessivo erogato dallo Stato al teatro è stato di circa 5,3 miliardi nel 1957-58, una cifra non disprezzabile. Molto criticabile è però il sistema attraverso il quale questi denari vengano distribuiti, non esistendo a riguardo regole ben definite e poggiando il tutto sulla discrezionalità della direzione generale dello spettacolo. Un clima del genere non può non condurre alle più nocive conseguenze. Enti inutili e largamente superati dai tempi; « parassiti », così come Zardi li definisce, i quali in qualità di capocomici di una o più compagnie intestate ad uno o più grandi attori e in qualità di appaltatori · di tournée contribuiscono a far sperperare tra mille rivoli il denaro che dovrebbe venire a rinsanguare il già anemico teatro. Dovendo le compagnie dipendere in così larga misura dall'esterno ·(leggi cioè dalla Direzione dello Spettacolo e quindi dallo Stato) per rifarsi delle .spese sostenute, si può comprendere l'importanza sproporzionata che la censura ha acquisito. Sotto questo aspetto dal fascismo a noi poco o nulla è cambiato. Opere come « I carabinieri» di Joppolo non hanno potuto essere rappresentate che a Parigi, mentre al contrario in Italia per non correre rischi si ricorre più tranquillamente a Shakespeare o al teatro poetico russo con 124 I \ BibliotecaGino Bianco l '

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