delle aree arretrate, introd. di De Maria, ed. Il Mulino, Bologna, 1960, pubblicazione a cura del Centro Nazionale di prevenzione e difesa sociale). E, di fatti, ancora una volta, sono stati chiamati a raccolta sociologi ed economisti, urbanisti e statistici, cultori di problemi del lavoro, medici e giuristi per far sì che nessun aspetto della realtà propria di queste cc aree » venisse ad essere trascurato. Tutto ciò, però, è possibile, come ben avverte il De Maria, nella sua introduzione al volume, e come ricordavamo poc'anzi noi, proprio perchè la sociologia italiana moderna, a differenza di quella di tipo matematico del Pareto, o di quella del « case-method » nord-americana, o di quella « applicata » francese, in cui l'applicazione è mero « esercizio di schemi di classificazione, di metodi e di analisi operative intente ad osservare il funzionamento sociale ma non a migliorarlo », si pone come cc sociologia imperativa », sociologia, cioè, che pone a se stessa il problema « di ciò che dovrebbe esser fatto », problema che se si lasciasse come esclusivo delle ideologie e dei programmi di partito farebbe correre il rischio alla sociologia di diventare scienza « priva di problematiche normative di rinnovamento sociale ». È solo in questa visione teorica che il problema delle aree arretrate può trovare la sua corretta impostazione e soluzione. Soltanto riconoscendo che tutte le tecniche e tutti i fattori di lotta all'arretratezza devono operare congiuntamente, è possibile sciogliere i tanti ' nodi gordiani' che finora hanno tenuto fortemente avvinta l'impostazione corretta del problema dello sviluppo delle aree arretra te. Questa la premessa teorica su cui poggia, o per lo meno dovrebbe poggiare, il volume. Se il risultato propostosi sia stato in pieno raggiunto è cosa che vedremo fra poco; per ora è già molto interessante registrare che un teD;tativo c'è stato, che alla discussione sono stati chiamati oltre che gli economisti, anche studiosi di altre discipline sociali, che il loro contributo, per quanto, qualche volta, incerto, è stato per lo meno tale da suscitare problemi, da indirizzare verso alcuni obiettivi certe discipline che finora hanno quasi disdegnato di affrontare certi problemi, in quanto è sembrato che essi esulassero dall'ambito di ricerche che tradizionalmente vi si ricollegano. Ovvio naturalmente, ci sembra, che a Veniero Ajmone Marsan, cui si deve il conh .i.buto economico, fosse affidato un compito cl1e, se da un Iato può sembrar limitato, per il modo in cui è adempiuto risulta, invece, essere molto importante. Egli, infatti, si preoccupa (più che di aggiungere un altro saggio ai tanti comparsi sullo sviluppo economico dei paesi arretrati) di fare il punto, sullo stato della letteratura in materia. E certo il modo in cui l'autore si muove, fra tanto susseguirsi di studi teorici, di indagini empiriche, di piani e rapporti nazionali, individuandone pregi e difetti, scegliendo tra essi quelli che presentano maggiore validità ed originalità, lascia intendere facilmente una profonda conoscenza dell'argomento ed una capacità di selezione, che, data la natura del lavoro del Marsan, sono di per sè sufficienti a far emettere un giudizio positivo sul- suo contributo. Detto della recente apparizione di trattazioni sistematiche sull'argomento, egli non può esimersi dal notare una crescente tendenza degli economisti a dar rilievo a fenomeni non eco117 Biblioteca Gino Bianco I I
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