Piano verde e Piano Mansholt di Mario Di Bartolomei Secondo u11a parola d'ordine molto diffusa specie negli ambienti ministeriali e del partito di maggioranza relativa, il 1961 sarà cc l'anno dell'agricoltura ». E invero no11 si può negare che esiste un notevole fervore di iniziative, sia al livello governativo che nelle organizzazioni di categoria e imprenditoriali: l'iter parlamentare del Piano verde è ormai praticamente concluso; si avvicina la data della confere11za 11azionale << del mondo rurale »; in settembre a Roma la Commissione Economica· e Sociale della C.E.E. organizzerà una conferenza per discutere gli aspetti sociali della politica agraria comune, che sarà praticamente il complemento della conferenza di Stresa del 1958. A questa concorde volontà di fare, purtroppo, non corrisponde molta unità di intenti e soprattutto non corrispondono idee molto chiare. Per esempio, è stato notato unanimemente l'errore di varare un piano quinquennale per un cospicuo importo prima ancora di sapere in quale direzione gli interventi vanno orientati; compito, questo, affi-. dato alla conferenza di giugno: Così non si è tenuto conto, nella formulazione del Piano verde, del fatto che l'agricoltura italiana è destistinata a fondersi con un tipo di agricoltura europea che ha o si avvia ad avere caratteristiche omogenee: spendere oggi per corroborare tipi di impresa destinati a perire domani significa spendere male; d'altra parte, non prevedere in tempo le linee di omogeneizzazione del1' agricoltura dei sei Paesi significa pregiudicare il processo di integrazione e relegarsi ad un ruolo economico subalterno. La prima osservazione da fare agli autori del Piano verde concerne la impostazione stessa del piano. Nel criterio degli ordinatori sarebbe prevalso il principio della organicità, che si rileverebbe dall'entità differenziata degli stanzia1nenti fissati per i vari settori d'intervento; al 18 Bibliotecaginobianco
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