Nord e Sud - anno VIII - n. 17 - maggio 1961

vivo in queste pagine, che compongono il Diario romano, e che riproducono talvolta le stesse parole, in cui prendevano forma, allora, i pensieri, i gusti ed i risentimenti, che caratterizzarono l'ultimo Brancati; quello, si vorrebbe dire, della terza fase della sua attività letteraria, susseguita alla prima, giovanile e retorica, ed alla seconda, fase di transizione, di scontentezza e di ricerca (fase, questa, simbolizzata nello stesso titolo d'un suo libro di novelle, pubblicato a Catania nel 1939: In cerca di un sì). Questo libro postumo, che risulta da branj di un Diario tenuto per il pubblico dei lettori di giornali (essi erano apparsi, infatti, dapprima su un settimanale, poi, per la maggior parte, sulla terza pagina di un grande quotidiano milanese), costituisce dunque una sorta di pubblico « esame di coscienza )> dello scrittore; ed è a questo titolo che esso merita, ed anzi richiede, l'attenzione del comune lettore, che può ritrovare, nelle pagine di Brancati, tanti dei crucci e delle certezze morali, che sono il pane quotidiano dello spirito di oggi. « Esame di coscienza: ecco tre parole gravemente discreditate in Italia. Il solo sentirle pronunciare dà fastidio e suscita una smorfia di ripugnanza come se alludessero a un'operazione immorale e leg- . germente disgustosa » (pag. 121). Qui Brancati forza un po' il tono; in effetti, l'esame di coscienza è sempre una medicina alquanto amara, e nessuno, che si sappia, ha mai gradito trangugiarla. Aveva ragione, forse, lo scrittore moralista, a rimproverare alla società italiana: « Essa odia l'esame di coscienza perfino nella forma piacevole di uno spettacolo teatrale. Non vuole saperne di guar,dare in se stessa, e affida ai retori il compito di stordirla e ai vanitosi quello di regalarle un teatro che, in termini pretenziosi e ' sublimi ', non le dice nulla » (pag. 220). Ma - occorre proprio chiarirlo? - la società italiana compiva, sia pure in modo particolare, il proprio esame di coscienza, grazie allo stesso Brancati; giacchè la coscienza collettiva, per esprimersi e prender possesso di sè, deve pur trovare voce in un individuo, assumere for1na in una personalità; essa non potrebbe fare altrimenti; chè gli applausi di un pubblico a teatro sono, tutt'al più, una adesione passiva, e non già un'operazione parificab·ice. (Altro significato, beninteso, ha la rappresentazione scenica, che assuma funzione di rito reliaioso; ma questo è un altro discorso). È lo stesso Branca ti, che, in un'altra pagina del suo Diario, una fra le più ricche dei suoi umori satirici, invece di giustificare la politicità delle sue commedje, provvede a b·asporre in termini di commedia le mani- - festazioni politiche: « L'italiano che si risolve a partecipare a una vita di massa si mette già nello stato d'animo della comparsa teatrale. La vita, per quel giorno di adunata, gli si presenta sotto la forma piacevole e leggera dello spettacolo, ed egli chiede di indossare una divisa perchè le commedie che ama di più sono quelle in costume. La piazza diventa un palcoscenico ... n (pag. 125). Sia nell'una, come nell'altra osservazione, in quella dell'autore di teatro e in quella di osservatore politico, si rivela la stessa « contaminazione n (nel senso classico, latino), che si compieva nella coscienza di Branca ti tra due forme della sua attività di crittore, quella dell'invenzione letteraria, e quella della riflessione sul costume. Egli, d'altronde, aveva coscienza anche di ciò, e se ne usciva a scrivere : « So di .giudicare la politica da moralista, 115 Bibliotecaginobianco

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