Nord e Sud - anno VIII - n. 17 - maggio 1961

Sansevero, dopo le elezioni, egli ripeteva ancora una volta: « voi ed io siamo uomini d'ordine e di libertà, avversi per intima convinzione a tutte le esagerazioni »); si dilunga su Aspromonte, sulle consuete polemiche tra Destra e Sinistra, e dopo aver concentrato tutte le riforme necessarie in una linea sola ( « riforma del sistema di contabilità, rifo1ma delle tasse, riforma degli organici, discentramento, economie ») finisce col dire che sull' oportunità di tali riforme erano tutti d'accordo, e che ciò che era mancato era stata non l'intenzione di compierle, ma « il vigore dell' esecuzione ». Il che francamente lascia perplessi per l' approssimatività con cui il De Sanctis si poneva certi importantissimi problemi della vita unitaria italiana e per il semplicismo delle sue nozioni in materia; e insieme induce a pensare che per lui, a proposito di tali problemi, la linea di demarcazione passasse non già tra un partito conservatore ed un partito progressista, ma tra un governo fiacco ed uno risoluto ad operare. Nel '67 al De Sanctis parrà di aver trovato una linea di divisione: i conser- , vatori a suo giudizio si andavano arroccando a difesa di una malintesa libertà della Chiesa, e ciò costituiva un distacco cleeiso dalla tradizione cavourriana, dalla genuina ispirazione liberale. « È rimasto [al partito conservatore] - diceva egli nel discorso alla Camera del 9 luglio 1867 - un solo monumento in mezzo al deserto, è rimasto un monumento che molte rivoluzioni non sono riuscite ad intaccare, e di cui io riconosco volentieri la solidità, la grandezza: è rimasto il clero ... Il partito conservatore in Italia senza base non può esistere e questa base è il clero, e questa base sono le trattative con Roma... Il programma radicale del partito conservatore, vale a dire il grosso dell'esercito, è conosciuto: è l'affermazione del potere temporale del Papa ». V'è qui un anticlericalismo di derivazione hegeliana, ossia derivante dalla concezione hegeliana dello stato, che il De Sanctis divideva con tutto l'hegelismo napoletano. E questo ricorrere ad una distinzione di carattere ideologico mi sembra una prova ulteriore dell'insuccesso ad individuare una demarcazione politica. Il De Sanctis in questi anni era ideologicamente vicino agli uomini della Destra storica, e ciò che Io distaccava dalla Sinistra era una sostanziale divergenza di formazione :filosofica, a cui s'era aggiunta, negli anni decisivi di Torino, una sostanziale divergenza di impostazione dei problemi politici dell'unificazione (e se non prendo, a mia volta, un grosso abbaglio, ciò sarà vero in certo senso anche dopo il '74). E se egli avvertiva nel paese un'esigenza di mutamento ( « oggi il paese è impaziente, non patisce indugi, reclama soluzioni pronte, vuol vedere il faro, la stella, la via per la quale si dee incamminare ») non riusciva, tuttavia, a tradurre tale esigenza in termini politici altrimenti che con un suo ricollocarsi su di un centro~sinistra che non andava oltre certi limiti. « La democrazia - scriveva nel '65 - con tutti quei sottintesi e quegli accessori che la mettono in relazione con la grande emigrazione democratica europea non ha attecchito in Italia. Il partito democratico vi è assai debole. L' immensa maggioranza è moderata, liberale, devota al plebiscito, e non ammette transazione sul programma nazionale, e chiede istantemente le riforme. Questo è il terreno sul quale è possibile lavorare per costituire un gran partito progressivo e nazionale, di contro a coloro che ponessero, per avventura in quistione il programma nazionale, e inchinassero a transazioni o concessioni incompatibili col patto fondamentale. Il resto è poesia ». Ma mettete il programma desanctisiano di que112 . Bibliotecaginobianco

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