Nord e Sud - anno VIII - n. 17 - maggio 1961

ci 1nostra un De .Sanctis ancora tutto impastato di moralismo ( « pricipal debito dell'uomo onesto ... »; cc francheggiati dalla vostra coscienza ... »), che soggiace al mito neo-guelfo della rivoluzione italiana compiuta con la benedizione del pontefice ( cc voi ringrazierete Iddio di avervi fatto nascere sotto Pio IX »), che dà alle sue considerazioni, magari senza volerlo, un'impronta di pedagogia politica, più che non suggerisca la gioia calorosa della partecipazione alla vita pubblica, resa possibile dalla rivoluzione. Ed anche là dove tenta di approfondire concetti politici o di indicare ai suoi ascoltatori la strada da imboccare (che gli pare quella della prudenza e della diffidenza verso le soluzioni estremistiche), direi che il suo concettare resta distaccato dalla realtà. Ecco come, ad esempio, il « professore » chiarisce ai suoi cc giovani » in che modo ha da intendersi il vero ordine: cc l'ordine che voi conoscete è da Dio, al pari della libertà; è l'aggettivo della libertà, il culto esterno di essa: togliere di sotto all'ordine la libertà gli è come togliere di sotto al culto la religione; il culto è allora ipocrisia, l'ordine tirannia ». Pensieri giusti (e di cui è facile cogliere la matrice hegeliana), ma che restano sospesi in aria; e che dovevano suonare strani a quella « scuola » desanctisiana che di lì a tre mesi sarebbe stata dispersa dalle fucilate della contro-rivoluzione e che avrebbe avute le sue vittime. Insomma, leggendo questo discorso (come anche le pagine per la morte di Luigi La Vista) si ha innanzi un De Sanctis un po' diverso da quello attivo ed impegnato, che suggeriscono le lettere dei primi mesi del '48: l'uomo, cioè, che non disperava facilmente («la vostra malinconia è senza cagione: qui le cose vanno bene, i galantuomini sono uniti e l'affare di Roma [l'enciclica del 29 aprile con cui Pio IX ritirava il suo Bibliotecaginobianco appoggio alla causa italiana] non porterà conseguenza », scriveva al padre il 7 maggio, e dunque solo una settimana prima delle barricate), e che soprattutto operava, e bene operava, per la riforma dell'istruzione a Napoli. E forse per correggere tale impressione sarebbe stato opportuno stampare qui ciò che resta delle relazioni che egli ebbe a scrivere sulla sua attività riformatrice come segretario della cc Commissione provvisoria di Pubblica Istruzione », che il governo costituzionale aveva creata a Napoli il 22 marzo. Tutto considerato, mi sembra che quelle pagine avessero almeno tanto diritto di essere ospitate in questo volume, quanto ne hanno i famosi « saggi critici » cui si accennava innanzi. L,'esperienza quarantottesca fu decisiva per il De Sanctis : cc tre anni di carcere duro e solitario affatto lo hanno così stordito che non si può immaginare. Parla pochissimo, assai meno di sei anni fa; è sempre riconcentrato in se stesso ... », scriveva Diomede Marvasi a Pasquale Villari il 29 marzo 1854, accompagnando una lettera che il « professore » aveva dimenticato di speàire. La persecuzione, la prigiÒne, l'esilio furono un brusco contatto con la realtà, troppo brusco, forse, ma che l'aveva, intanto, sottratto ad un pericolo: « cominciato ad insegnare a diciotto anni, giovane tra giovani, mi parea Sf:mpre di essere della stessa loro età, invecchiavo e non me ne accorgevo, il mondo m'era rimasto estraneo », doveva scrivere a Montanelli, di se stesso, il 2 aprile 1855. Nel '48 il mondo gli rovinò addosso; e nel distacco dalla famiglia, dalla cc scuola » diletta, si compiè la sua maturazione. E ad un contatto più diretto di quanto non avesse mai avuto prima con la politica (il far parte dei gruppi di esuli che s'erano riuniti a Torino da ogni regione d'Italia, il dibattere tra essi e con essi idee e problemi, il vivere dei medesimi 108

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