Nord e Sud - anno VIII - n. 16 - aprile 1961

sempre la1 rinascita delle industrie 'tradizionali'. t u11modo di evitare le acciaierie, le centrali elettriche e le altre attrezzature pesanti della rivoluzione industriale» (Galbraith, I grandi problemi, Comunità, 1960). È chiaro quii1di il perchè della vivace reazione degli ambienti meridionalistici ad ogni critica alla civiltà industriale, anche quando, secondo i dettami di Adorno, è sembrata « impiegare tutti gli argomenti della critica reazionaria ... al servizio dell'illuminismo progressivo », esercizio particolarmente arduo. Ad occhi meridionali, il pericolo di ogni critica romantica alla civiltà del Nord, in quanto civiltà industriale, è di risolversi in un recupero dei << valori » del Mezzogiorno cioè, in ultima analisi, di svolgere una funzione complementa·re a quella apologetica della civiltà contadina, momento di autodifesa, tentativo di sottrarsi all'urbanizzazione imminente. I valori di cui il Nord ha carenza sembra· che fioriscano al Sud che, poverino, è felice e non lo sa e non lo vuole sapere, ostinandosi a inseguire una meta che non esiste, un Nord tutto nuovo, ricco, dinamico. La volontà conservatrice di congelare il processo risulta evidente: l'oscuramento della meta (il dir~ostrare che essa non vale la pena, l'azzardare che e< forse state meglio di noi ») non avrebbe ragione di esistere se non servisse a scoraggiare ed elidere la te11sione verso di essa; in ultima analisi « l' a'bitabilità morale del Mezzogiorno » si rivela un pretesto per mantenerne in vita la cattiva struttura economica. Dopo il mito del feroce meridionale artefice di delitti di onore e membro della organizzazione mafiosa, ecco quello del « buon selvaggio», che non ha ancora morso al pomo dell'industria. Il Sud povero, sporco, 'immorale' è giustificato e nostalgicamente percepito ad un livello gastronomico-turistico: è cioè accettato in una veste falsa almeno quanto quella ' feroce' che lo fa rifiutare. Ancora una volta la letteratura filtra la realtà falsandone i rapporti; ancora una volta di luce solare appare irradiato il passato preindustriale: il cattivo presente rimanda alla felice Età dell'oro. La società troppo coltivata si consolanell'utopia di un perenne weekend e lo dà per vissuto dal cafone del Sud. In effetti l'uomo della' metropoli industriale fa per gioco molte cose che in aree ad economia diversa hanno una seria funzione soèiale. Molti dei suoi hobbies scimmiottano le f11nzioni del ciclo agricolo-pastorale: va a pesca per il gusto di pescare e non per procacciarsi il cibo, pratica l'alpinismo per il gusto di salire e non per la necessità di far legna, cavalca e non per necessità di locomozione, coltiva un giardino che non è fonte di sostentamento. È facile quindi che egli equivochi sulla realtà di altri gruppi e popoli. Egli estende il suo divertimento per « un mese in un paesino graziosissimo senza luce e se11za acqua » ai buoni indigeni che lottano per la rete e l'acquedotto e crede che 11elle tonnare si peschi con lo st~sso spirito con cui si abbandona la n:etropoli del sabato sera per pescare lucci e trote; se non lo dice esplicitamente, certamente lo presuppone, altrimenti non si giustificherebbero le sue valutazioni. Idoleggia una vita semplice e frugale, ma non 54 Bibliotecaginobianco

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