Nord e Sud - anno VIII - n. 16 - aprile 1961

Sarà col fallimento della rivoluzione quarantottesca, con la revoca dello Statuto che il Regno di Napoli inizierà la sua lenta agonia verso uno squallore morale ed intellettuale sempre più totale. cc Proprio agli inizi - scrive il Moscati - del Regno l'espressa volontà di Ferdinando II di cercare in mezzo al suo popolo quel puntello che il primo Ferdinando aveva trovato nelle baionette straniere si era incontrato con il mirabile sforzo di ripresa economico-culturale del napoletano. Il legame tra dinastia e cultura era stato riallacciato da Luigi Blanch e dai moderati ex murattiani che avevano continuato a coltivare l'ideale della monarchia amministrativa del decennio e quell'ideale avevano visto ora impersonato con innegabile fierezza e buona volontà di servire il progresso del paese dal giovane sovrano. E anche se le speranze del re erano andate via via affievolendo, pur tuttavia, fino al 1848, era stato perseguito quello sforzo di collaborazione tra cultura e governo borbonico ». Dopo il 1848 si instaura l'autoritarismo più odioso: il sovrano distaccandosi sempre più dal popolo e dalla classe dirigente, dalla élite culturale, che fra l'altro non ha possibilità di rinnovare i suoi quadri, si rifugia nella religione confidando soprattutto nell'esercito. Da allora, assente anche dal gioco diplomatico, chiuso nel suo torpore il regno corre precipitosamente alla rovina. Il Moscati non trascura di sottolineare che negli anni prima del '48, e anche dopo, qualche tentativo di riforma fu avanzato per quanto riguardava particolarmente l'economia e l'amministrazione; si pensi poi che alla vigilia del crollo si esaminava l'opportunità della costruzione di due tronchi ferroviari che avrebbero dovuto collegare Napoli con Bari e Taranto. Ma altri e ben più gravi limiti denunciava il Regno che, con Francesco II, succeduto a Ferdinando II, segnò inevitabilmente la sua condanna. L'industria era quasi inesistente, specificatamente di estrazione locale; chiuso il mercato interno; v'era un distacco sempre più forte fra centro e provincia e soprattutto, come osserva il Moscati, « la mancanza assoluta di responsabilità della classe burocratica napoletana, il pauroso invecchiamento dei quadri, l'inesistente ricambio nel ceto dirigente borbonico, il prepotere e la corruzione della polizia, la scarsa indipendenza della stessa magistratura » ~ Si trattava in sostanza di un'assoluta mancanza di uomini e di ideale - e per questo non senza una ragione spirituale, più che storica e politica, le reviviscenze del legittimismo, che si manifestarono dopo il 1860 con il brigantaggio, non assunsero mai le proporzioni di un vero fenomeno politico, ma si ridussero, quasi essenzialmente, ad un risentimento di alcune classi contro il nuovo Governo piemontese assai deludente nei suoi primi passi - per cui « di fronte all'iniziativa piemontese - avverte ancora il Moscati - il regno delle due Sicilie vede esaurirsi ogni sua funzione, si chiude in se stesso, non ha più nessuna fede, nessuna bandiera da difendere, sia come Stato, sia come centro di sviluppo e di irradiazione di un pensiero politico n. In extremis si tenterà di salvare il salvabile, appoggiandosi su uomini che non hanno soverchio prestigio, concedendo la costituzione: quasi con rassegnazione e fatalismo, consapevole la monarchia di non avere più alcuna speranza: dietro c'è il vuoto assoluto. Il regno di Napoli entra in tali condizioni a far parte della compagine unitaria. A questo punto si apre un lungo discorso che dai primi anni della Destra ad oggi è vieppiù aperto con tutta 127 Bibliotecaginobianco

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