tornare sull'argomento un pranzo di addio offertogli poco prima di lasciare la città. « Della attitudine commemorativa dei napoletani era una conferma quella tavolata di gente in trattoria. C'erano giornalisti di tutti i partiti, e uno parlava delle amanti del duca d'Aosta. In ogni parte del mondo si discute del presente, degli amici, dei vicini, dei contemporanei. Il vero presente per i napoletani è il passato. Io sono già passato, sto per andarmene, ed ora tutti sono gentili ed affabili con me, già mi vedono lontano e mi rimpiangono, che è il loro modo di apprezzare. Uno che era con me quella sera, mi diceva che quella tavolata era come se radunasse gente che avesse un lutto comur1e. Così tutta la vita napoletana. Detestano i forestieri, come i greci. Temono di essere offesi con le grossolanità di cui soltanto Napoli può giudicare la portata, perchè sono maestri cli cautele. Mi diceva uno del luogo, della indefinitezza delle persone di questa città. Incontrate uno che per un'ora vi incanta, intelligente, pieno di brio. Lo incontrate il giorno dopo, non è più quello, lo perdete. Da solo a solo si rivela. In compagnia si disperde. A proposito del giornale che dirigevo, un collaboratore mi diceva ironicamente: "L'Europa a Napoli!'. E un tale: 'Se Picasso fosse a Napoli, non gli faremmo decorare neppure un bar'. Si parla di Spagna. Ma in Spagna gli scrittori e gli artisti sanno di essere fuori del mondo, e gittano un ponte all'universalità. A Napoli credono di essere al centro. Molti problemi di Napoli saranno risolti quando il compenso del lavoro non sarà considerato un beneficio o un favore, come in gran parte dell'Italia meridionale, ma un diritto ». Qui Alvaro ha messo il dito sopra una pia·ga alla cui guarigione, venendo a Napoli, si era illuso di poter co11tribuire. Ora se ne va sapendo di aver tentato invano. Se ne va amareggiato, e forse anche tin po' offeso. Tuttavia il pensiero di questo dista'cco imminente non gli dà, come dovrebbe, un senso di sollievo: « Mi diceva un giovane di aver pensato spesso dì fuggire da Napoli, di averlo addirittura progettato e preparato, e di non esservi mai riuscito. Lo capisco anch'io alla vigilia di questa mia partenza. C'è qualcosa che prende, un'attesa di arrivare a scoprire un segreto, di capire finalmente, e meglio, di trovarsi all'improvviso con l'anima piena. A Roma, invece, l'attesa è di strappare qualche cosa' a un albero di cuccagna. In tutte e due le città, la fortuna non dipende dalle nostre qualità personali, ma da operazioni occulte che noi ignoriamo e che pochi fortunati e semplici conoscono. Sopratutto semplici, cioè non corrotti dalla, cultura e dalle idee. A Roma in generale, uomini e donne, ma specialmente le donne, non mi incuriosiscono, so quello che potrei 116 Bibliotecaginobianco
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