CRONACA LIBRARIA Arte e letteratura IL MENABÒ - Un numero del cc Menabò » - la rivista di letteratura diretta da Vittorini e Calvino - con un saggio e tre romanzi brevi e un grosso libro (La masseria di Giuseppe Bufalari) pubblicato di recente dall'editore milanese Lerici hanno riaperto all'improvviso il capitolo della letteratura sul Sud, quel capitolo che da Verga in poi ha appassionato la critica italiana senza trovare ancora una sistemazione organica. Pregiudizi di varia natura hanno impedito che fosse approfondito il discorso sulla letteratura meridionalistica. E sono, in fondo, i pregiudizi stessi della nostra critica militante che, ancorata alle boe opposte del postcrocianesimo e del marxismo, non ha affrontato con sufficiente chiarezza i rapporti fra letteratura e società, fra ispirazione e ambiente, tra finzione e realtà. Basterebbe solo questo merito - aver cioè aperto uno spiraglio in un settore asfittico come quello della critica letteraria nostrana - per essere grati a Vittorini e a Calvino che hanno già pubblicato tre numeri a cc soggetto » analizzando vari aspetti della produzione letteraria corrente: prima la guerra, poi la nuova poesia ed ora appunto il Sud. Un lungo saggio di Crovi può segnare un punto di partenza per uno studio più ampio e analitico. Ma oggi quello che ci interessa è la parte relativa alla letteratura, a quelle cc pezze di appoggio » cioè che Vittorini offre a rafforzare il discorso critico del suo giovane collaboratore. E che poi i tre romanzi di D'Arrigo, Di J acovo e Lunardi rientrino solo in parte nello schema tracciato da Crovi non è uno scandalo: è una riprova semmai della molteplicità delle tendenze, dei gusti e degli stili. Poco da dire per D'Arrigo, un giovane siciliano che ha messo insieme una strana epopea popolaresca e dotta, grezza e nello stesso tempo raffinata che ha per oggetto il delfjno: un'epopea dialettale e di un dialetto tanto incomprensibile che per orientare iì lettore in quel labirinto di siciliano arcaico è stato neces•sario addirittura un glossarietto. Un'epopea va detto ancora per debito di onestà che ha suscitato l'entusiasmo di coloro che sono riusciti a comprenderla, come Giorgio Bassani ad esempio che ne ha parlato come di una rivelazione. Diverso è il caso di Di J acovo. Qui sj passa dalla forza irruenta e fr1controllata di D'Arrigo a un vero lavoro di cesello, dal dialetto ad una lingua italiana purissima che il giovane professore molisano ha dimostrato di conoscere a perfezione in questo bel diarjo dèll' adolescenza dal titolo Infinito pr0115 Bibliotecaginobianco
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