Nord e Sud - anno VIII - n. 13 - gennaio 1961

del PCUS e il rapporto di Krusciov sulla tirannide di Stalin, hanno fatto svanire dalla memoria la brutale repressione sovietica dell'insurrezione di Budapest. È parso a molti che innanzi ad una minaccia di sovversione antidemocratica cadesse ogni distinzione, e che non fosse più tempo di far valere scrupoli e di segnare differenze. E da ciò si può misurare quanto fosse sciagurato l'errore di coloro che, dentro e fuori la Democrazia cristiana, avevano cercata e voluta, o anche soltanto accettata e subita, l'alleanza coi fascisti: poichè non vi può essere dubbio alcuno che la loro azione ha indebolito il riflesso di difesa democratica verso l'estrema sinistra. Ed ha provato ancora una volta la verità del vecchio argomento, che tante volte abbiamo sostenuto in queste pagine: che, cioè, ogni spostamento dell'equilibrio politico italiano verso la destra sovversiva monarchica e fascista recava in sè il duplice pericolo del regime da una parte, e di una radicalizzazione della lotta politica dall'altra, col conseguente rafforzamento dell'ondata di ritorno comunista. Tutto questo ci sembra rendere di nuovo attuale t1n chiaro discorso sul frontismo. Innanzi tutto non si può non rilevare che la proposta frontista sulle cc giunte difficili » ha come obiettivo principale non già quello di risolvere il problema amministrativo di molte città e province, ma l'altro di porre in imbarazzo la maggioranza autonomista del PSI. I comunisti sanno benissimo che la loro alternativa non ha nessuna possibilità di attuazione per il fermo atteggiamento di repubblicani e socialdemocratici; ma sanno, altresì, che essa da un forte argomento di polemica congressuale alla sinistra socialista. I dirigenti del PCI temono più di ogni altra cosa l'isolamento sull'estrema: pertanto, ad essi non basta che gli autonomisti del PSI subiscano un momentaneo insuccesso sul piano politico generale ma vogliono cl1e tale insuccesso abbia riflessi inten1i al Partito socialista medesimo, e si preoccupano, perciò, di porre i carristi, loro alleati, nelle migliori condizioni possibili per conquistare il controllo del partito. È evidente, dunque, che la politica frontista ha1 oggi un chiaro senso anti-socialista: essa mira a bloccare il processo di maturazione del PSI, a schiacciare la maggioranza autonomista e, finalmente, ad impedire quella convergenza delle forze democratiche di centro-sinistra e di sinistra, laiche e cattoliche, che sola può assicurare una politica di progresso in Italia. È bene, dunque, che coloro i quali mostrano di nutrire nostalgie frontiste sappiano che, sul piano politico, le loro piccole manovre servirebbero soltanto ad agevolare la sconfitta dell'autonomismo socialista, a tagliare il sogno di un grande partito socialista, unito e rigenerato e democratico, e ad impedire che maturi nel paese, e per il paese, una politica libera da ogni ipoteca conservatrice. D'altra parte, la politica frontista avrebbe, oggi più ancora di ieri, il risultato di produrre una spaccatura profonda nel paese, di radicalizzare la lotta politica e di provocare, ovviamente, una risposta analoga dall'altra parte. Vale a questo proposito l'argomento di sempre: che, cioè, una lotta frontale, n1uro contro muro, potrà giovare, forse, a coloro che desiderano i fronti, nazionali o popolari che siano, ma non giova, 59 Bibliotecaginobianco

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