Nord e Sud - anno VIII - n. 13 - gennaio 1961

affrontato innanzitutto il problema di indjviduare l'agricoltore: chi è? fin dove se ne può parlare come di un professionjsta? Le risposte date a queste don1ande sono particolarmente interessanti perchè Orlando ha attinto largan1ente alle opinioni dei diretti interessati e le ha largamente rjportate. Legami con una tradizione che può essere deH'ordine più vario (familiare come im,prenditoriale), vocazione romantica erso la natura e il più diretto rapporto possibile con essa, desiderjo di innovare tecnicamente la vecchia proprietà e moralmente la tradizione familiare, Hlusione di creare un'agile e moden1a fonte di cospicui guadagni, pionierismo e amore dell'avventura; e nello stesso tempo sfiducia nella saggezza della propria scelta, dolore per il ritmo col quale l' econo1nia moderna fa passare in second'ordine le forme tradizionali di produzione e di ricchezza, rassegnazione di fronte al fallimento delle proprie aspirazioni o convinzioni, incapacità e mancanza di spirito organizzativo, timore e risentimento verso lo Stato, rinchiudersi ostinato e puntiglioso nella nostalgia e nella polvere di circoli a cui più nulla vale a rjdare l'antico splendore: questi e molti altri sono gli echi che Orlando ha raccolto dal mondo degli agricoltori e che possono valere a definjrlo sul piano della sua consapevolezza di protagonista di una grande crisi. Chè su questo punto nessun dubbio è possibile e Orlando conferma con interessanti particolari lo sviluppo cli un fenomeno ben noto: la crisj, cioè, dell'attività agricola non solo sul piano della polarità bracciantile o di quella contadina, ma ben anche sul piano dell'attività imprenditoriale. Crisi, perciò, che si manifesta con la fine della « grande famiglia », la fuga verso la città, j} passaggio ad altre attività, la liquidazione o riduzione delle proprietà; e crisi, peraltTo, che ha profonde ragioni non solo nello sviluppo generale della società e dell'economia, ma bensì ancora nel seno stesso della categoria, in parte composta, assai spesso ancor oggi e specialmente ai vertici, da « proprietari che solo in senso tradizionale e improprio avrebbero potuto esser chiamati agricoltori » : composta cioè da latifondisti, redditieri, irnprenditori jnetti e brannici, ai quali si deve gran parte della disistima ricaduta in tempi recenti sulla più antica delle classi sociali. Orlando ha perciò buon gioco nel mettere ripetutamente in rilievo i gravi e grandi vizi che - dal punto di vjsta dello spirito di iniziativa, della cultura e della tecnica dello spirito associativo, del senso di responsabilità politica e sociale - presenta oggi la categoria degli agricoltori italiani. L'autore ha tuttavia tentato anéhe qualcosa di più. Egli ha, infatti, messo un particolare accento sulle ragioni storiche che, a suo parere, giustificano le attuali vicende degli agricoltori in Italia. Orlando è convinto che lo Stato ]iberale si identificò, in Italia, éOn il ceto degli agricoltori, i quali dettero a quello Stato la classe dirigente e i mezzi necessari alla sua esistenza. La logica di una società che veniva evolvendosi da forme feudali a moderne concezioni dei rapporti sociali e l'etica progressista di quella classe dirigente spinsero lo Stato liberale, lo Stato degli agricoltori, sulle vie del radicale rinnovamento: l'agricoltura fu così chiamata dai suoi stessi esponenti a pagare per la nascente industtia. Questa, tuttavia, sviluppandosi, postulava un nuovo sistema politico: il classismo agricolo 127 Bibiiotecaginobianco

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