e delle amministrazioni, diventano le borgate romane. E se in queste borgate, per mezzo di adeguati interventi nel campo -dell'istruzione professionale, si organizzasse I'inoltramento degli immigrati verso altre destinazioni, diverse dalle borgate romane, e corrispondenti ai vuoti che si manifestano sul mercato delle forze di lavoro, potremmo dire che la « fuga dalle campagne » si risolve in un effettivo progresso di tutta la realtà italiana, che essa decongestiona il tessuto demografico nelle zone di partenza e colma i vuoti nelle zone verso le quali una efficiente politica di lavoro deve provvedere a canalizzarla. Ma fino a che punto poi è giusto parlare di << fuga dalle campagne » come di un fenomeno negativo, del tutto negativo? Noi sappiamo che due tesi sj sono affrontate in proposito: l'una, quella di Emilio Sereni (Vecchio e nuovo nelle campagne italiane, Editori Riuniti, 1956), per cui « la penetrazione del monopolio industriale e finanziario nelle campagne » ha determinato « l'espulsione di migliaia di lavoratori »; l'altra, quella di Rossi Doria (Dieci anni di politica agraria, Bari, Laterza, 1958), per cui « da quattro a cin·que milioni di meridionali (ossia un quarto della popolazione totale) vivono nelle zone agricole povere nelle quali una sostanziale riduzione delle densità degli insediamenti costituisce la inevitabile prospettiva e la condizione stessa per la ricostituzione di un nuovo tollerabile equilibrio tra risorse e popolazione ». È appena necessario aggiungere che Berlinguer e Della Seta echeggiano la tesi di Sereni e parlano di « fuga », di « espulsione » . A noi sembra, invece, che si debba parlare, come fa Rossi Daria, di sovrapopolazione agricola che in talune zone impedisce ogni progresso della produttività e determina un estremo frazionamento fondiario. Di qui l'aspetto positivo del1' esodo rurale se si pensa alla decompressione demografica che esso provoca nelle zone di partenza. Il che non significa che non ci si debba preoccupare oggi del fatto che, come scrivevamo sul « Giorno » del 26 agosto, « mentre in alcune province l'esodo rurale è appena agli inizi, in altre la percentuale di popolazione attiva dedita all'agricoltura si è abbassata fino al punto in cui è diventato lecito parlare con un certa preoccupazione di abbandono dei campi ». Di qui la possibilità, e la necessità, di agevolare migrazioni dalle prime alle seconde. È proprio Rossi Doria, comunque, che ha indicato recentemente, in un articolo che apre il primo numero dei Quaderni di sociologia rurale (Feltrinelli), il pericolo che, « una volta avviato, il processo emigratorio possa andare al di là del conveniente e possa, pertanto, portare, anzichè al riordinamento, all'abbandono » delle più povere regioni interne del Mezzogiorno: « se è, perciò, necessario incoraggiare e aiutare in queste condizioni il processo emigratorio, esso deve essere guidato in modo da raggiungere contemporaneamente la stabilizzazione in luogo di una parte della popolazione residua attraverso un'azione particolarmente impegnativa e difficile », ai fini della quale è fondamentale il ruolo che devono assolvere la scuola e il servizio sociale. Questa digressione sull'esodo rurale, e sulle diverse interpretazioni che corrono delle cause e delle conseguenze di quel fenomeno che i comunisti denunciano come <e espulsione » di « migliaia di contadini » dai campi, ci ha portato lontani dalle borgate. Alle quali giova ora ritornare per concludere 124 Bibiiotecaginobianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==