di cemento e di vita umana » che è la Roma di oggi, la cui popolazione è salita ai 2.000.000 di abitanti (il 3,9% della popolazione italiana); nella seconda parte sono invece esposti « i risultati delle indagini dirette compiute su diversi aspetti della crisi delle borgate ». L'inchiesta è corredata da cartine e diagrammi che illustrano assai bene i vari dati del fenomeno studiato e danno modo ai lettori di averne facilmente presente l'ordine di grandezza. \ 1i è infine una svelta appendice, con dodici tabelle statistiche, che pure sono di grande aiuto per chi volesse rapidamente orientarsi fra i ari dati dell'urbanesimo romano. Una prima considerazione che e1nerge dell'inchiesta dei comunisti romani sulle borgate è di ordine politico: i comunisti hanno tirato le loro conclusioni dai dibattiti e dalle polemiche che si sono avuti negli ultimi tempi - « in numerosi consigli comunali di grandi città, ed in seno allo stesso movimento operaio » - intorno al « problema della libertà di residenza »; e ora si spingono fino al riconoscimento autocritico della necessità di liquidare tutti i dubbi che fino a ieri li avevano indotti alla tattica della reticenza tutte le volte in cui il problema delle leggi contro l'urbanesin10 era venuto in discussione. Mentre sul piano parlamentare, a partire dal 1958 circa, i comunisti si sono fatti promotori dell'abolizione delle leggi contro l'urbanesimo, sul piano della pubblicistica politica essi affermano oggi che « a posizioni iniziali di corporativismo si sono andate progressivamente sostituendo posizioni unitarie e di classe ». Avevamo dunque ragione quando, prima del 1958, denunciavamo l'atteggiamento comunista, opportunisticamente sordo nei confronti del1' esigenza di instaurare la libertà di movimento e di ins diamento, esigenza igorosamente sostenuta da Luigi Einaudi e da Ernesto Rossi. E se oggi le cc posizionj iniziali di corporativismo » sono state abbandonate dai comunisti, lo si deve proprio al vigore con cui la pubblicistica di parte demo ratica, pur non movendo da cc posizioni unitarie e di classe », e nemmeno approdando a u posizioni » di questo genere, ha proposto il problema: oltre tutto, dopo le polemiche sollevate intorno alle cc leggi nefaste » e intorno alla restaurazione della « servitù della gleba », non era più possibile per i comunisti di eludere con reticenze e sofismi la scelta politica che si imponeva. È molto grave, però, e non è certo olpa dei comunisti, che le « leggi nefaste » non siano state ancora abolite e che la Camera non abbia trovato an<'ora il tempo per votare quella abolizione della cc servitù della gleba » che nel febbraio scorso è stata votata dal Senato all'unanimità. Come la legge sulle aree fabbricabili, così l'abolizione delle leggi contro l'urbanesimo: si direbbe che nei confronti di questi due provvedimenti il Parlamento italiano resta veramente impotente, ad onta di tutti i buoni propositi manifestati da parlamentari e partiti. Sono peraltro provvedimenti che entrambi riguardano Roma e il cui reiterato rinvio consente ai comunisti di svolgere una polemica assai efficace, fondata su motivi e ragioni che non si possono non condividere. Esempio: l'ironia nei confronti dell'europeismo (le leggi contro l'urbanesimo che non ci si decide ad abolire mentre si levano inni al Trattato del Mercato Comune, che pure dovrebbe tendere, e specialmente perchè lo vogliono gli italiani, « ad abolire gli ostacoli alla libera circolazione delle persone su tutto 121 Bibiiotecaginobianco
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