Nord e Sud - anno VII - n. 11-12 - dicembre 1960

lois ha vissuto il problema del piccolo stato. Certo, il Kaegi non si lascia sfuggire che, teorizzando la necessità di una· scarsa estensione territoriale per uno stato che voglia viver libero, il Montesquieu l1a sentito con pari energia l'inconveniente principale della sua impostazione, l'inconveniente della debolezza politica e militare. Eppure, quando nelle grandi pagine dell'Esprit des lois sulla confedera·zione il Kaegi indica il luogo in cui lo scrittore ha risolto il problema, mj sembra che egli accetti troppo fedelmente di stare al gioco del suo autore, ed abbia torto a non sottoporre ad ulteriore analisi la soluzione proposta dal Montesquieu. Non è questo il luogo per entrare nel merito di una· questione· tanto complessa; ma è certo che se il Kaegi avesse avvertito il problema, l'importanza delle riflessioni del Montesquieu sarebbe stata colta con maggiore sicurezza e il suo posto nella storia dell'idea del « Kleinstaat » sarebbe stato segnato con più pertinente incisività. Ma questi sono dissensi particolari che nulla tolgono ai pregj del saggio. Quel cl1e se mai, riprendendo il discorso iniziato più su, si potrebbe notare è che non sempre il problema del cc piccolo stato » appare dominato dal Kaegi in una compiuta prospettiva storica· e politica. Le preoccupazioni del francese Montesquieu e, sopra tutto, dello svizzero Burckhardt sono le preoccupazioni del Kaegi; e non c'è dubbio che il leit-motiv delle sue riflessioni sia costituito dalle celebri parole che l'autore delle W eltgeschichtliclie Betrachtungen pronunziò in una sera del dicembre 1870, dopo aver letto alcune pagine di Morike, « il suo poeta tedesco preferito » (p. 90). « Un altro poeta come questo non potrà più esserci in Germania », disse in quell'occasione il Burckhardt, chiudendo il libro; cc non si può voler essere un popolo importante da un punto di vista culturale e insieme militare. La Germania ha ora fatto della politica il suo principio, e dovrà portarne le conseguenze » (e su questo episodio, si veda anche il commento di F. CHABOD, Storia della politica estera italiana dàl 1870 al 1896, Bari 1951, I, pp. 86-87 e passim l'intero I capitolo; e cfr. già « Rassegna d'Italia », II, 5 (1947) p. 35). Ora, che queste parole dovessero risuonare con particolare intensità nell'animo di un uomo che nella fatale politica hitleriana poteva ben ritenere di cogliere la verità della cc profezia » di Burckhardt, è ovvio; ma l'impressione che il lettore di queste pagine no·n riesce a superare è che il problema del piccolo stato e della libertà politica sia sentito in una cornice troppo « elvetica » o, se si preferisce, europea in senso tradizionale, perchè lo storico riesca veramente a darne la prospettiva critica. Non si direbbe, in altri termini, che alYorigine di questo saggio ci sia una meditazione adeguata delle ragioni profonde della crisi di quei valori che il Kaegi git1stamente rimpiange; sembra a tratti che il dramma dei personaggi di cui lo storico ricostruisce le vicende sia il suo stesso dramma, che le loro angosce siano le sue stesse angosce, e che nessuna prospettiva egli riesca ad indicare al di là della desolata profezia burckhardtiana. Certo, lo storico non è un teorico della politica, e chi scrive di storia non ha l'obbligo di pre201 Bibliotecaginobianco

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