Nord e Sud - anno VII - n. 11-12 - dicembre 1960

abbia poco di specifico da apprendere, potrebbe meditare con qualche profitto; e con profitto, forse, anche maggiore, quando il suo pensiero vada alla nostra storiografia contemporanea, ai libri, ai saggi, ai contributi che si scrivono oggi, in questi nostri anni, e che sono, spesso, così nobilmente esangui, così privi di interessi politici e civili, così beatamente soddisfatti della pura ricerca erudita e della· bella mostra delle note a pie' di pagina. Non si tratta·, certo, in questa sede di riprendere la discussione sul limite accademico, retorico, umanistico della cultura italiana, e di rinverdire con un esempio recentissimo gli allori di una vecchia polemica. Ai termini di quella· polemica tante correzioni e precisazioni si dovrebbero apportare che il discorso finirebbe per assumere proporzioni inopportune; e d'altra parte è bene troncare ogni equivoco e dir chiaramente che nessuno vuol compiere una polemica contro l'erudizione, che sarebbe cosa da ridire se pure si potesse in qualche modo concepire. E tuttavia, quando si leggono libri o saggi che sembrano far consistere il loro pregio e il loro raro titolo di nobiltà nella perizia sottile con cui, affrontando questioni sempre più piccole_, chiariscono particolari che in nessun modo si legano ad un discorso di qualche impegno culturale, vien fatto di rimpiangere la serietà e la forza morale di uno scrittore come il Kaegi che, in anni difficili, non esitava a fare della sua parola un monito politico e della sua· scienza . un appello alla civiltà. Al confronto, i nostri studiosi di oggi (e mi si perdoni la indispensabile generalizzazione) danno spesso l'impressione di essere meno vitali e più pedanti, e certo meno patetici, del Wa:gner goethiano, che almeno non era privo di un suo onesto orgoglio umanistico, e se amava passar le lunghe notti d'inverno a sfogliare venerande pergamene, conosceva, a suo modo~ i tormenti del dubbio e del suo limite umano. Ma: c'è poca speranza che certi nostri eruditi si interessino ai nobili casi del dotto famulus: con quale artifizio riuscirebbero infatti a citarlo nelle loro note? Tanto più apprezzabili risultano dunque le pagine storiche di Werner Kaegi, se si tien presente il clima' dominante in alcuni settori della storiografia italia~1a. E certo, a chi abbia qualche interesse alla storia culturale e morale dell'Europa tra le due guerre, non sarà difficile legare queste pagine del Kaegi ad altre pagine, e riascoltare, attraverso di esse, motivi comuni alla migliore cultura europea. Bisogna tuttavia anche osservare che i valori di civiltà, di cultura, di finezza umana e letteraria che, discepolo di Erasmo e di Burckhardt il ' . Kaegi mette sempre innanzi nelle sue ricerche, difendendoli dalla barbarie ritornata della prima metà del XX secolo, appaiono a tratti nelle sue pagine in una luce troppo tenue e semplice perchè le parole dello storico, i suoi stessi_ideali, r~escano in tutto persuasivi. Si sente, insomma, che ritessendo in anni oscuri e drammatici il tema di un superiore umanesimo erasmiano, il motivo della tolleranza e della comprensione tra i popoli, il Kaegi ha finito per operare una semplice « contrapposizione », per opporre valore a disvalore, quasi dimenticando che 199 BibliotecaGino Bianco

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