scenza della « letteratura critica: », non meno evidente è ( come ben nota il Cantimori) la sua tendenza a risolvere in un concreto e diretto esame di testi e di situazioni la così detta discussione metodologica o di principio. Così, ad esempio, nel saggio su Voltaire (che pure non è dei suoi il più presuasivo ), l'argomento della disgregazio~e della· concezione cristiana della storia è affrontato direttamente, senza preamboli generali, .senza preoccupazioni cc filosofiche », e, sopra tutto, senza nessuna presunzione di rinnovamento o anche solo di messa a punto metodica. Si sente benissimo, certo, che scrivendo di Voltaire il Kaegi non condivide molte delle interpretazioni critiche più accreditate; e si sente anche assai bene che della letteratura critica sul Voltaire la sua conoscenza è tanto più precisa e puntuale quanto meno egli sente il bisogno di scendere a polemiche e a rilievi critici. Certo, i temi principali di (111ellaletteratura son sempre ten11ti presenti, sì che, chi legga il suo saggio, per così dire, contro luce, non tarda a comprendere il s110tono di dialogo serrato con i maggiori risultati della storiografia moderna. Eppure, come dicevo, quasi mai il Kaegi sente il bisogno della precisazione polemica o de1 rilievo critico; e dove invece sente questa ·necessità (com'è nel caso della polemica con Federico Meinecke), si veda con quanta leggerezza di tocco egli sa giustificare un dissenso anch.e abbastanza notevole. Nè, si badi, si tratta di prudenza accademica, nel senso peggiore della parola, di rispetto soltanto forma·le per le idee di un così grande studioso; si tratta invece di una superiore civiltà letteraria, della convinzione che il gioco delle idee ha un valore in se stesso, ne] confronto e nella dialettica che instaura, e che il compito di chi dissente non è già di dimostrare che l'avversario non capisce nulla. ma di far valere, se possibile, la bontà delle idee ritenute migliori. Il che non si nota qui con l'intenzione di stabilire raffronti, o di indicare un modello di comportamento culturale, ma solo allo scopo di sottolineare un atteggiamento, uno stile non soltanto farmale ed esteriore. Perchè degli idea1i che il Kaegi mette in rjlievo con maggior vigore nelle sue cc meditazioni » sulla storia europea, questo stile liberale, questo rispetto delle opinioni altrui, questo senso di humanitas erasmiana è certamente una delle note costitutive; e a trascurarlo ci si potrebbe precluder la comprensione del modo concreto in cui quegli ideali si son tradotti nella· viva personalità del loro storico. E qui, se non m'inganno, si tocca un punto particolarmente significativo della « storiografia » del Kaegi. Studioso sensibile .alle più varie esigenze del suo tempo, egli non si chiude mai in una sterile contemplazione del passato; le sue « meditazioni » non sono apologie di un tempo ritenuto migliore del presente e a'l presente contrapposto con moralistico e amaro rimpianto. Da questo punto di vista manca, senza alcun dubbio, nel Kaegi1 il pessimismo di t1n Burckhardt, il suo tono amaramente profetico, il suo rifiuto di certi aspetti del mondo moderno; e manca anche, in lui, la' vena apertamente moralistica di un Huizinga. Così, nei saggi che delineano il concetto di « Kleinstaat » 196 Bibliotecaginobianco
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