Nord e Sud - anno VII - n. 11-12 - dicembre 1960

♦ La diplomazia europea ·del dopoguerra fu ricomposta, in gran parte, con i rottami della vecchia. Con i suoi uomini migliori essa cercò di r~prendere e adattare le tradizioni che andayano indietro fino al congresso di Vienna: le tradizioni di imparzialità, di cortesia, di servizio disinteressato del Paese. I peggiori continuarono a declamare, sia pure in sordina, i motivi del nazionalismo esasperato. In Francia, per esempio, si fecero consiglieri •dell'assurda politica di grandeur. In Italia, nel '53, indussero Pella a r.oobilitare alla frontiera giulia e si sono piegati, poi, alle velleità di attivismo internazionale che hanno trovato talvolta un centro di ispirazione nella persona del Presidente della repubblica, il quale troppo spesso interviene, suggerisce, spinge, prendendo contatto diretto con gli alti funzionari. Da noi, come in Francia, la carriera non ha più il prestigio e lo splendore di un tempo. In Italia, il segretario generale ha perduto la autorità che aveva, non diciamo ai tempi di Contarini, ma anche a quelli di Zoppi, cioè fino a sei anni fa. È una prova della leggerezza di condotta quasi generale il fatto che l'indebolimento della carica di segretario generale sia avvenuto in parte per le sconsiderate iniziative dei consiglieri diplomatici, tutti funzionari regolari, che circondavano Fanfani nel '58 (per fortuna, non sono tornati nel '60 e anzi, a quanto pare, sono tenuti lontani). Ma per il resto la decadenza· della carriera e dell'uomo che ne occupa il vertice è il risultato di circostanze oggettive assai più importanti. La politica estera è oramai intimamente legata a quella interna, e dipende dappertutto assai più dal presidente del consiglio che non dal ministro degli esteri e ·dai suoi collaboratori diretti. Questo avviene perfino in Inghilterra dove soltanto il plebeo Ernest Bevin, in virtù della sua influenza personale, riuscì a restituire per qualche tempo una certa autonomia al Foreign Office. Altrimenti, negli ultimi vent'anni, con MacMillan, con Eden, con Churchill, con Chamberlain, le grandi deliberazioni e perfino la condotta quotidiana della politica estera si sono trasferite « dall'altra parte di Downing Street >>, e cioè al numero dieci dove risiede il primo ministro. La diplomazia inglese rimane la migliore d'Europa, anche se il suo livello intellettuale è spesso inferi ore a quello della cc carriera » francese. A Londra l' oggettività e l'indipendenza dei funzionari e degli esperti sono rispettate. Si pensi che, nel '45, Bevin mantenne al suo posto il capo di gabinetto che Eden gli aveva lasciato. Ma nemmeno in Inghilterra tornano i tempi di Nicolson, di Vansittart e degli altri sottosegretari permanenti, che avevano una grande e quasi indiscussa autorità. Quando Chamberlain 102 Bibliotecaginobianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==