Nord e Sud - anno VII - n. 10 - novembre 1960

• · LA CAVA - Un clamoroso fatto di cronaca nera fornisce l'argomento all'ultimo romanzo di Mario La Cava (Mim1 Cafiero, Parenti, 1959): il delitto del cieco che, per un memorabile processo alla Corte d'Assise di Reggio Calabria, appassionò, negli anni della guerra fascista d'Africa, l'opinione pubblica della cittadina dello stretto. Nel torpido e torbido clima degli anni trenta, caratterizzati dall' artificioso mal d'Africa e dal più stagnante conformismo, i grandi processi costituivano come il termometro della società ed il morboso interesse che suscitavano, lungi dal rappresentare una salutare e liberatrice presa di coscienza rivelava, se mai, inquietudini e complessi dai quali certa borghesia provinciale non riesce tutt_ora a liberarsi: una malsana ed ambigua ammirazione per l'assassino che vendica il suo onore oltraggiato, una oscura e compiaciuta soggezione alla camorra che è penetrata nel tessuto connettivo della società. Che il moraJjsta sia attratto dal fatto di cronaca nera è perfettamente naturale: il suo giudizio sui contemporanei è sollecitato con maggior urgenza quanto più profondamente le manifestazioni, in cui una società clamorosan1ente si rivela, offendono la sua coscienza. Il pericolo è nel farsi prendere la mano dalla torbida materia, nel costruire un grosso dramma d'appendice. La Cava se n'è accorto subito: quello che era Il cieco del sobborgo nel 1948 è ·diventato semplicemente Mimì Cafiero. Mimì Cafiero: un giovane proprietario te1Tiero di Reggio Calabria, ossessionato dal sesso, malato di « gallismo » ( come si suole ormai dire dopo il fortunato neologismo di Branca ti), sempre alla ricerca di donne in una città che offre nessuna o pochissime occasioni ai giovanili svaghi. Lo sforh1nato dongiovanni contrae, in una delle febbrili sue relazioni, il mal gallico che lo porterà, dopo il matrimonio alla cecità. Si insinua allora in lui una feroce assurda gelosia che ]o spinge al delitto con la complicità di un servo-fratellastro fedele e scimunito. Il lettore, che conosca già La Cava, indovina facilmente con quale animo lo scrittore abbia assunta una così squallida materia nelle pagine del suo romanzo. Il suo risentimento si b·adisce in una rappresentazione severa ed amara, dominata, sin dalle prime pagine, da un oscuro senso di fatalità inesorabile, che ntùla concede alle suggestioni del facile erotismo. Si potrebbe parlare di tragedia se nel1a miseria senza luce di queste anime piccine si aprisse uno spiraglio che lasciasse presagire una possibile catarsi. Invece, appunto per questa mancanza di nobiltà del dramma di Mimì Cafiero, rimane, alla fine, nell'animo del lettore, il sentimento addirittura della gratuità o, se si preferisce, della accidentalità della vicenda. Se La Cava fosse riuscito - come ne Le memorie del vecchio Maresciallo - ad allargare il suo giro d'orizzonte a tutta la società, il delitto del cieco, in una prospettiva storica, avrebbe acquistato un diverso 8 pregnante significato: ma nel romanzo fascismo e mafia, idoli e tabù della provincia meridionale, restano sullo sfondo, appena ricordati e mai rappresentati nella loro tragica realtà e nella loro incidenza sulla vita storica. STRATI- Tibi e Tascia di Saverio Strati (Mondadori 1959) è la storia di due adolescenti calabresi che, mentre i genitori lavorano nei campi, si ten127 blioteca Gino Bianco

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