Nord e Sud - anno VII - n. 10 - novembre 1960

avvento del fascismo). Pure, Nitti ebbe una concezione profondamente liberale della lotta politica (basti rileggere ciò che egli ebbe a scrivere sul cc Mattino » di Napoli, in risposta a coloro che l'avevano accusato di essere un socialista della cattedra). Il meridionalismo di Nitti ebbe un'evoluzione estremamente interessante. In un primo momento, sotto l'influenza di Giustino Fortunato e del gruppo gravitante attorno alla cc Rassegna settimanale », Nitti assimilò i termini tradizionali della polemica meridionalistica d'intonazione liberale-conservatrice: la riforma dei contratti agrari, la tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, l'assistenza ai lavoratori, la libertà e la tutela dell'emigrazione. La sua visione del problema meridionale - come d'altronde quella dei maggiori meridionalisti - si fondava su una analisi storico-politica assai acuta e precisa, della genesi del problema stesso. In cc Nord e Sud », che rimane la sua opera più importante, Nitti, sulle orme del Fortunato, approfondì l'analisi delle cause storiche della depressione meridionale, sfatando una volta per tutte, la leggenda circa la ricchezza economica del Sud. Le cifre da lui addotte a dimostrazione del drenaggio di capitali operato dallo stato unitario ai danni delle regioni meridionali e a vantaggio del Nord, la dimostrata sperequazione tributaria tra Nord e Sud, lo scarso volume della spesa pubblica nel Mezzogiorno, in assoluto ed in rapporto al carico fiscale di quelle regioni; tutto ciò eliminava definitivamente qualsiasi interpretazione naturalistica della depressione meridionale, e di questa faceva il problema etico-politico più importante della vita nazionale. Quella di Nitti non era d'altra parte un'indagine pùramente economica: in cc Nord e Sud», nei primi saggi sul Mezzogiorno, scritti tra la fine del secolo scorso ed i primi anni di questo, risultano evidenti da una parte lo sdegno dell'autore verso la società meridionale, il suo corrotto costume politico, le .sue scarse energie morali, dall'altra il suo severo giudizio sull'opera della Destra e la sua condanna della politica della Sinistra. Da questa analisi, così pessimistica circa la capacità di una ripresa autonoma del Mezzogiorno, e nello stesso tempo così realistica nella individuazione dei termini politici gen~rali della questione meridionale, Nitti traeva, d'accordo in ciò col Fortunato ed in polemica col Salvemini, una visione rigorosamente unitaria del problema. Questa stessa impostazione lo portava in un secondo tempo a rivedere in parte i propri giudizi storici ed a modificare il proprio programma. Infatti, dopo aver condiviso molte delle tesi del meridionalismo tradizionale, Nitti dissentiva da questo a proposito di una delle più dure e più clamorose battaglie che da anni i meridionalisti venivano conducendo: la battaglia antiprotezionistica. Egli giungeva a considerare le tariffe doganali dell' '87, contro le quali si erano appuntate le maggiori critiche dei meridionalisti, << non solo inevitabili ma utili », nella misura in cui avevano permesso, sia pure a spese dell'economia meridionale, la formazione della grande industria nell'Italia settentrionale. Egli accettava sinanco come un male necessario il dazio sul grano, come quello che da una parte consentiva lo sviluppo agricolo delle zone meridionali non ancora messe a cultura (si noti tuttavia a questo proposito la più esatta visione non solo politica ma anche tecnica del problema che traspariva dalla campagna antiprotezionistica degli 122 Bibliotecaginobianco

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