Nord e Sud - anno VII - n. 8 - settembre 1960

La Corte Costituzionale e la Televisione La sentenza della Corte Costituzionale che· ha ritenuto legittimo il monopolio delle comunicazioni televisive da parte dello Stato non ha colto di sorpresa gli ambienti politici e la stampa di ogni tendenza. Il ricorso presentato al supremo organo giurisdizionale, istituito a salvaguardia dell~ costituzione repubblicana, da due società private, la romana cc Tempo-Tv » e la cc Televisione libera» sorta a Milano, non aveva mai avuto probabilità di successo e, dopo la sentenza, è parso quasi che ne fossero convinti perfino i suoi sostenitori. Ma i commenti dei giornali di sinistra', che hanno cercato di interpretare la decisione dal punto di vista politico, oltre che giuridico, hanno fornito elementi di grande interesse per una discussione seria e obbiettiva non soltanto per il caso specifico quanto per la definizione del compito che, almeno in alcuni casi, spetta alla' Corte. I termini, diciamo formali, della questione sono abbastanza semplici: da una parte esiste l'articolo 21 della Costituzione che sancisce solennemente il principio della libera diffusione del pensiero con qualsiasi mezzo e· che tollera limitazioni soltanto per motivi di ordine pubblico o altre gravi ragioni elencate tassativamente. Dall'altra è tuttora in vigore il codice postale che agli articoli 1 e 168 a·ssegna all'EIAR, la vecchia società che nel dopoguerra ha cambiato nome ed è divenuta la R.A.I., la gestione in esclusiva del mezzo radiofonico e, dopo un accordo stipulato 11el 1952, anche i servizi televisivi. Il quesito che ha dovuto risolvere la Corte nasce proprio dal contrasto, che a molti appare evidente, tra la norma costituzionale e le disposizioni a cui abbiamo .fatto cenno. E la più seria, in fondo risolutiva, obiezione che l'organo giurisdizionale ha potuto opporre al ragionamento dei lega·li delle due società è stata quella riguardante le particolari condizioni ir1 cui può esplicarsi il diritto di diffondere le proprie idee attraverso le trasmissioni televisive. Se si tiene conto, infatti, della oggettiva limitazione del bene (cioè i canali televisivi) -- e a questo proposito nell'articolo che l' cc Espresso» ha dedicato all'argomento si è precisato che nel caso la richiesta, ad esempio, di cc Tempo-Tv » fosse stata accolta, non ci sarebbe più stato posto per altre concessioni - risulta chiaro che il monopolio è per così dire « naturale » e che a·d esso potrebbe sostituirsi soltanto un oligopolio quanto mai ristretto. Se non esistesse insomma il monopolio statale avremmo, al posto di esso, pochissime società di privati, che finirebbero con l'esercitare una immensa forza di pressio11e. In tali condizioni - ha concluso la Corte - l'articolo 43 della Costituzione, che riserva allo Stato la gestione di imprese che si riferiscano a situazioni di monopolio di preminentè interesse generale, o anche di oligopolio (ma quest'ultimo termine è il risultato di una interpretazione estensiva della norma citata) trova senz'altro applicazione. Fino a questo punto il problema·: considerato nelle sue corr1po40 Biblioteca Gino Bianco

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