Nord e Sud - anno VII - n. 8 - settembre 1960

pure, se è sardo, che è povero, e tante altre cose, ma che ciò che più conta (candore della civiltà contadina!) è che Segni è suo compaesano. Ebbene tali ragionamenti sono la difesa che il meridionale mette in atto con lo esaltare e magnificare le st1e conquiste, contro le definizioni negative del gruppo dominante. È stata nostra intenzione smascherare lo implicito e ingiustificato giudizio conten11to 11el pregiudizio etnico; ma a seguirci su di un tal filo 110n possiamo certo chiamare molti. D'altra parte non ci sembra che le campagne educative possano eliminare le ostilità dominanti. Un invito alla tolleranza e alla collaborazione non sarà certo nocivo, « i sentimenti morali senza dubbio contribuiscono a far sorgere dei tentativi di mutamento, ma non sono il sostituto degli strumenti pratici per raggiungere lo scopo, come provano i popolati cimiteri delle vaghe utopie ... è soltanto col rifiuto del fatalismo sociale implicito alla nozione della immutabilità della natura umana che ... (il pregiudizio) ... può essere spezzato. I pregiudizi etnici muoiono, ma lentamente. Si può contribuire a che scompaiano nell'oblio non insistendo sul fatto cl1e la loro sopravvivenza è irragionevole e non conveniente, 1na togliendo via i sostegni ora forni ti da alcune istituzior1i della nostra società » (R. K. Merton: Teoria e struttura sociale, cc Il Muli110 », pp. 617-19). I problemi non si risolvono col definirli: la scienza di essi è solo un gradino per la loro soluzione. Industrializzare il Mezzogiorno, evitando le soluzioni « paleotecniche », e procurando la attiva e responsabile partecipazione delle comunità meridionali al processo di industrializzazione, è la prima cosa da fare, e subito. Le vite umane si presentano una sola volta e fare che si svolgano nel migliore dei modi possibile giustifica ogni attenzione e sforzo. Un'ultima - e non certo la minore - conseguenza del disagio creato dalla configurazione dicotomica della nostra società vogliamo indicarla nell'esodo degli intellett11ali, di cui le regioni del Sud continuano ad essere depauperate dai lontani anni dell'unificazione, quando l'ampliato orizzonte della vita italiana attirò verso Roma e le città settentrionali la parte migliore e più attiva della nostra cc intelligenza ». La prospettiva del successo personale che gli intellettuali meridionali oppongono come motivo determinante ed inoppugnabile della loro emigrazione, è in molti casi un elemento mascheratore; alla radice del1' esodo si trova molto spesso il ripudio e la smentita del loro ambiente sociale. Accade così che la società meridionale, potenzialmente f econdissima, debba essere fuggita da coloro che ne sono i più qualificati portatori e mediatori; e questo per il solo desiderio di sentirsi operanti in quella che è sentita come la vera società italiana d'oggi. Evitare che ciò accada è compreso nel prezzo per il riscatto del Mezzogiorno. ANTONIO VITIELLO 36 Biblioteca Gino Bianco

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