oltre a non confondersi con le realtà naturalj, sono in gra11parte divari 'storicamente determinati' anche in funzione dell'intervento pubblico. Se si accetta questo rjlievo diviene a·ssurdo parlare di ' artificio' a proposito delle moderne politiche di sviluppo regionale o discutere in generale, prescindendo dalle singole situazioni, dei vantaggi e degli svantaggi del dece11tramento regionale delle attività economiche. Quel che conta è accertare in quale misura', in ciascuna situazione, è utile attenersi allo svolgimento per così dire 'autonomo' dei fenomeni di localizzazione e dove comincia invece la convenienza collettiva a svolgere una positiva e sia pure ' costosa' politica: in contrasto con tale svolgimento. Deve però dirsi che il lato debole di ogni esperienza' di sviluppo regionale è costituito proprio dall'assenza di un bilancio veramente esauriente, soprattutto per l'economista, dei suoi costi e risultati 12 • A questa limitazione non si sottrae, per quel che sappiamo, nemmeno l'esperie11za inglese. Non sarebb~ quindi possibile valutare precisamente fino a qual punto tale esperienza ha confermato o smentito le preoccupazioni di ordine economico che ogni politica di sviluppo regionale solleva.• Anche l'esperienza inglese ha avuto, come è ovvio, il suo ' costo'. Non ci sono prove, ad esempio, per escludere che ad ess~ si sono accompagnate conseguenze negative, almeno a breve termine, sulla formazione del reddito nazìonale o sulla stessa occupazione totale del paese o sulla su~ bilancia dei pagamenti 13 • La frequente esenzione delle industrie esportatrici dai vincoli del controllo sulle localizzazioni è inoltre una conferma della ripetuta osservazione che il decentramento industriale può comportare, a breve termine, un indesiderabile aumento dei costi ~ziendali. È possibile però dire che l'esperienza inglese ha smentito, almeno in larga misura, i pericoli inerenti ad un particolare 'punto critico', di carattere extraeconomico, di ogni politica regionale: che essa com12 Questo rilievo parte forse da una visione troppo ' aritmetica ' dei bilanci delle politiche di sviluppo. Ma tant'è: l'economista (o lo statistico o l' econo1netrico) dovrebbe poter calcolare gli effetti vicini e lontani - e sia pure non preventivamente, ma a distanza di anni dai fatti ! - di ogni unità monetaria spesa in un programma di sviluppo. 13 Si veda, a questo riguardo, il saggio di J oseph Sykes incluso nella pubblicazione della SVIMEZ. 24 Biblioteca Gino Bianco
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