Nord e Sud - anno VII - n. 8 - settembre 1960

esempio, se la distinzione tra architettura ed edilizia appare riferita integralmente, non sembra che ad essa, nel corso del volume, sia dato il peso che merita: Giulio Minoletti (p. 123) ritorna all'equivoca affermazione che « l'architettura non è arte pura ii, Leonardo Ricci parla di architettura come « arte e scienza ii {p. 22); Piero Portaluppi afferma che « per fare l'architetto occorre buon senso e buon gusto » -(p. 129). E, oltre a ciò, troviamo citati, accanto al Pane, al Ragghianti, al Rogers e alla Zevi ed al Cosenza, persone come Antonio Cecchi (dirigente dell'Immobiliare) e Luigi Moretti, quasi che essi svolgessero un'attività culturalmente valida; mentre neppure menzionato è Giancarlo De Carlo-. Chi non è al corrente della situazione reale, può per questa assenza di impegno, essere tratto quasi in errore. Il drammatico equivoco tra i mezzi ed i fini - rilevato dal Pane - sul quale si fonda l'esigenza di rinnovare totalmente la nostra società e di realizzare un nuovo umanesimo, avrebbe dovuto costituire il fondamento di un libro sulla professione di architetto, invece di concludere con l'ottimistica previsione di « un futuro paragonabile ad un lago gelato, in mezzo al quale, per lo sgelo, fumano bassi i vapori d'acqua», e che saranno proprio gli architetti a sgelare il lago, sarebbe più opportuno ripetere che soltanto un più elevato tono morale potrà infrangere la visione rassegnata e conformistica della grande maggioranza degli architetti di fronte alla realtà nella quale essi sono costretti ad operare; poichè, evitando comode riserve mentali, essi devono considerarsi uomini prima ancora che tecnici. [A. VE.] Arte e letteratura CALVINO- A proposito di Italia Calvino e del suo Cavaliere inesistente, calzerebbe a pennello il discorso sulle formule: che, quando vengono inventate e sperimentate per la prima volta, son cosa da scienziati di genio; e quando vengono applicate, quotidianamente e presso che immutabilmente, da chi le utilizza, diventano roba da farmacisti. Ora non vorremmo applicare a Calvino la prosaica terminologia degli speziali, dal momento che lo scrittore torinese ci ha dati due libri, Il barone rampante e Il visconte dimezzato, costruiti su una formula del tutto nuova e insolitamente divertente, a considerare il tetro paesaggio della narrativa d'oggigiorno. Ma non può tacersi il fatto che questa terza pala del trittico calviniano, se testimonia d'una bravura sempre crescente, d'una maestria· nell'uso della lingua e nel rispetto della sintassi (da altri così crudelmente violentata) appare, a prima vista, come uno svolgimento troppo lineare della formula. Mostra al nudo il meccanismo, il congegno intellettuale che dà l'avvio a questa umorosa riconsiderazione de] mito. E che si tratti del mito carolingio, come tutti intendono, ha valore soltanto casuale. Ciò che conta è la contaminazione, assai felicemente riuscita, tra personaggi di una epopea tutta umana e quasi carnale, e un linguaggio estremamente scaltro, che non rifiuta nessuna delle malizie di cui, sia detto per inciso, altri narratori, contemporanei del Calvino e inguaribilmente neo-. 124 Bibliotecç1Gino Bianco -

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