rire risoluzioni in un senso ben determinato e preciso, il Nasi evita di trarre conclusioni dalle premesse. Ed in ciò sembra consistere il limite del libro, nell'arrestarsi troppo spesso alla sola informazione volutamente imparziale e, diremmo, quasi distaccata, priva delle valutazioni critiche che pur nascevano direttamente da essa; nè sembra sufficiente allo scopo il paragrafo: I fabbricanti di spazio da vendere (p. 63), ove si pone l'accento sulla irresponsabilità dei costruttori, disinteressati del risultato edilizio purchè esso costituisca cc un buon affare »; o le pagine in cui l'A. nota che cc la deroga pare essere oggi l'unica norma in campo edilizio » (p. 109). Allo scopo vale la pena di sottolineare qualcuno dei brani più stimolanti delle conversazioni con architetti: circa la responsabilità dei progettisti, Leonardo Ricci esclama (p. 25): cc ... voi dite case, case, case ... Ma se io rubo cento lire a una persona mi mettete in galera. E se rubo a una persona la possibilità di esistere, facendole una casa non adatta, di questo, invece, non vi importa niente ... ». E Giovanni Michelucci, h·a gli architetti più impegnati nella produzione della II letteratura architettonica », dell'edilizia seria, ambientata, tecnologicamente corretta, priva di eccessi formalistici e dotata di requisiti umanamente accettabili, scrive polemicamente: cc Anche se i loro scritti e le loro opere hanno dato modo agli impreparati di dire e fare cose insensate, noi dobbiamo essere grati a uomini come le Corbusier o Wright per quanto ci hanno insegnato ... Ma guai a chi non comprende l'insegnamento vero che da loro ci viene, e cerca di imitarne le forme architettoniche. Imitare l'opera dei geni porta a distruggere anche quel poco che uno può dare di suo» (p. 50). Nel dibattito sui problemi dell'insegnamento e sui requisiti che dovrebbero possedere gli architetti, assai più valida della generica affermazione del Giovannoni, banalmente riportata da Salvatore Caronia {p. 15) - le cinque valigie indispensabili per l'architetto moderno, consistenti nella cultura vasta e varia, nella preparazione artistica completa, neBa conoscenza della storia dell'arte, nella preparazione scientifica e tecnica, e, infine, nella pratica esperienza - appare l'opinione di Pier Luigi Nervi: cc La espressività architettonica è un qualcosa tanto più difficile a ottenere quanto più volontariamente la si persegue, per cui, abbandonato qualsiasi precostituito indirizzo estetico, mi sono sforzato di ritornare alla semplice mentalità del costruttore che studia con amore i problemi che gli vengono posti ». Illuminante è la successiva affermazione e concorda con quanto già accennato poc'anzi: « Fino a trent'anni or sono, quando sono sorte le Facoltà, l'architetto era i1 professore di disegno architettonico; allora non c'era bisogno di conoscere i problemi della statica ... La figura dell'architetto è nata con questo vizio inizia·le. Fin che non avremo una scuola che unifichi gli studi di ingegneria e di architettura saremo in alto mare. Io sono d'accordo che gli studi siano da unificare sulla figura dell'architetto» (pp. 31-32). Ma, tali fondamentali premesse ai difficili compiti dell'architetto, e della Scuola che alla formazione degli architetti è preposta, sembrano, nel libro, a volte inserite con indifferenza in aspetti che possono considerarsi di secondo piano, non di fondo, ma accessorii; gli squilibri, nonostante la facile vena del Nasi e la struttura letteraria piacevole, continuamente rinnovata, si riscontrano meditando sull'opera. Nell'intervista con Roberto Pane, ad 123 BibliotecaGino Bianco
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