Nord e Sud - anno VII - n. 8 - settembre 1960

l'insegnamento nelle Facoltà di archite_ttura. Queste, infatti, sono nate dalle Accademie di belle arti, che, mentre i Politecnici creavano ingegneri, avevano il compito di formare architetti. L'istituzione delle sette Facoltà universitarie o scuole di architettura appare molto recente, dalla prima, di Roma, del 1919, alle altre sei, tra il '26 e il '32 (Venezia, Firenze, Milano, Torino, Napoli e Palermo) ed il ritardo rispetto ad altri paesi appare aggravato dal fatto che esse dipendevano ancora, fino al 1935, dalla Direzione generale delle belle arti, con evidente confusione tra architetti diplomati e architetti laureati. Tale « peccato originale » è sovente riaffiorante nella scuola, e va curato storicizzando l'insegnamento, al fine di evitare l'attuale formalismo velleitario, da « casa di mode », e, se si preferisce, da scuola professionale, per una più precisa presa di coscienza storica -dei problemi del costruire, nel quadro della cultura d'oggi e delle relative responsabilità. Soltanto con una totale libertà di giudizio critico e la connessa capacità di operare delle scelte potrà infrangersi il metodo didattico informativo, tuttora in atto, e il generico agnosticismo di fronte ai vari problemi del nostro presente. Il discorso sulla scuola - forse il più interessante, sia perchè proiettato nel futuro sia perchè da essa deve partire il rinnovamento professionale - è contenuto nel capitolo La fabbrica degli architetti, in cui si rileva che, se gli studenti sono troppi rispetto agli insegnanti, e quelli che provengono dal liceo artistico generano scompensi e difficoltà particolari per la scarsa preparazione (in confronto con quelli provenienti dai licei classico o scientifico), « i docenti sono tutti, o quasi, professionisti attivi, radicati nella professione; e questo dovrebbe costituire un vantaggio, consentire un armonico sviluppo di teoria e pratica» (p. 133). Il Nasi aggiunge: « Non pare che questo vantaggio esista: i professionisti che sono fuori dell'insegnamento accusano la scuola di tutti quegli 'ismi' (accademismo, formalismo, tecnicismo) che poi si riflettono negativamente sulla professione ». A questo proposito si deve osservare, più realisticamente, che il vantaggio non esiste perchè assai spesso, i docenti professionisti trascurano la scuola per l'attività professionale (piaga questa che investe quasi tutta l'Università italiana); onde la produzione scientifica degli Istituti appare assai limitata, legata com'è alle alterne vicende di tale attività. Inoltre, per le Facoltà di architettura si aggiunga che raro è il caso in cui docenti architetti agiscano fuori della scuola coerentemente con quanto essi teorizzano all'interno di essa: alludiamo precisamente alla frattura esistente tra l'insegnamento puritano e le conformistiche accettazioni della realtà professionale, quale essa si presenta generalmente, condizionata dalle esose richieste della speculazione. Guardandoci intorno nelle nostre città non ci assale soltanto la << malinconia delle periferie » (p. 59), popolate di INA~Case frettolose e disadorne, mal disegnate e peggio eseguite, ma restiamo sconvolti dal caotico sviluppo urbano più recente, che ha distrutto ambienti antichi e paesaggio, per realizzare spaventose concentrazioni di uomini. Nell'alternarsi d'indagini su problemi particolari e di inchieste {numerosi capitoli sono dedicati a interviste dirette) il libro· appare vivace e scorrevole; ma non si può tuttavia non mettere in rilievo che, seppure la scelta di talune affermazioni da parte di docenti o architetti avrebbe potuto sugge-. 122 BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==