lo abbiamo mai praticato a fondo » (p. 18). Con nobili parole egli sintetizza la necessità del ritorno ad una più drammatica e virile concezione della vita e della rinunzia alla cc vana ricerca di un utopistico equilibrio che sarebbe una cosa orribile se mai si realizzasse ..., (alla) fiacca negazione dell'esistenza di un conflitto tra l'individuo e la società. Il conflitto non può non esistere: l'individuo, per essere tale, deve pagare questo prezzo, deve affrontare questi conflitti. Egli non può sfuggirvi, e se cerca un'etica che gli offra una impura tranquillità di spirito egli tiranneggia se stesso » (p. 18-19). È velleitarismo questo? Certo, il consiglio di barare alle prove di selezione affidate ai tests attitudinali è ingenuo. Ma non è ingenua nè velleitaria la delineazione della natura della lotta in cui l'uomo dell'organizzazione si deve impegnare: cc poichè la sua area di manovra è così ridotta e la prigionia una condizione così diffusa, nella sua battaglia non c'è ombra di eroismo, ma ciononostante è una battaglia non ·dissibile da quelle che dovettero affrontare i suoi predecessori » (p. 17), una battaglia per la conservazione e lo sviluppo di una personalità che non sia quella standard che oggi impone l'organizzazione e che altre volte hanno imposto altre realtà. E così pure non è ingenuo nè velleitario il richiamo ai temi liberali ed umanistici della libertà e della dignità della~ persona, in cui il libro del Whyte così si risolve. cc L'uomo dell'organizzazione, quale ce lo descrive il Whyte » - afferma il Gallino nella sua interessante prefazione (p. XXXI) - « è un prodotto della immane concentrazione di mezzi tecnici, economici e umani che ha finora caratterizzato in tutti i paesi lo sviluppo dell'industria, e solo 11n'inversione di tale processo, nel senso di un progressivo, generale decentramento e diminuzione della densità organizzativa nell'industria, reso oggi materialmente possibile dallo sviluppo tecnologico, ma implicante un vasto rinnovamento del sistema politico ed economico, creerebbe le premesse strutturali per la maturazione di un ' carattere sociale ' più plastico e libero ». Ma bisogna guardarsi dal porre tra le strutture materiali della società ed il cc carattere sociale » un legame così rigido. In realtà, nell'ambito di strutture sociali affini o addirittura eguali può fiorire - e di fatto fortunatamente fiorisce - una estesa varietà di tipi umani; e la libertà può sempre avere confini più estesi di quelli che per pigrizia o per interesse o per ignoranza o per altri motivi si tende ad assegnarle. Se così non fosse, non ci sarebbe scampo da un assoluto determinismo. ~a invece è proprio così, e perciò il richiamo del Whyte ad un diverso modulo nell'impostazione dei rapporti tra organizzazione e uomo dell'organizzazione conserva tutto il suo valore. È naturale poi che al sociologo non toccava altro che mettere in evidenza una situazione di deterioramento di certi valori, tutto uno stato di fatto che costituiva il tema di questa interessante ricerca. È al moralista, al politico o ad altri che spetta invece il compito di dar veste organica e concreta ai rimedi che in una situazione del genere di quella rilevata si possono auspicare. Semmai si potrebbe muovere al Whyte l'appunto di essere andato al di là di quanto, da un punto di vista puramente sociologico, poteva competergli e di non essere riuscito nella parte costruttiva del suo saggio (che del resto è quantitativamente poco rilevante) così pienamente persuasivo come nella parte analitica e critica. 110 BibliotecaGino Bianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==