Nord e Sud - anno VII - n. 8 - settembre 1960

sante (ci pare) la lettw·a di questo libro del Whyte, che del resto è già di per se stesso sufficientemente interessante. La tesi del Whyte è semplice. Asserito un contratto insanabile tra le esigenze di formazione e di sviluppo dell'individualità e le esigenze di « appropriazione » che le forme più moderne di organizzazione economica e sociale manifestano nei riguardi del loro stesso personale direttivo; il Whyte esamina, a questa luce, i fatti e i valori che la società americana è venuta producendo, da questo punto di vista, durante gli ultimi anni. L' cc uomo del1' organizzazione » è il prodotto umano di questa evoluzione; è colui che, a differenza del semplice operaio o del semplice impiegato, non soltanto lavora per la propria organizzazione, ma ad essa è votato in tutta l'impostazione della propria vita, dagli anni dello studio a quelli della maturità. Sono cioè j dirigenti aziendali a tutti i livelli della carriera e della responsabilità; ma, oltre i dirigenti aziendali, anche tutti coloro che sono presi nella routine dell'organizzazione moderna. Infatti, cc l'individuo che fa parte di una grande Società anonima ne è l'esempio più evidente, ma solo uno dei tanti esempi possibili, perchè la collettivizzazione, così visibile nel settore delle grandi Società, ha investito quasi tutti i campi di lavoro. Fratello di sangue di colui che fa pratica amministrativa per impiegarsi un g.iorno nella Du Pont, è il seminarista che finirà un giorno nella gerarchia ecclesiastica, il medico destinato a un grande ospedale, il fisico che lavora in un laboratorio. dello Stato, l'intellettuale che svolge in équipe un lavoro finanzjato da una fondazione, l'ingegnere nell'immensa sala di disegno della Lockheed, il giovane praticante di un grande studio legale di Wall Street » (p. 6). E poichè all'individuo soccombente nella rete tesagli dalla organizzazione viene offerta, con la sua stessa involontaria collaborazione> una prospettiva ideologica che ne giustifica l'alienazione e la perdita di autonomia, il Whyte prende in esame anche ·questo aspetto del problema, opponendo alla tradizionale etica dell'individualismo, cui egli dà il nome di << etica protestante », l'etica nuova dell'organizzazione, l' cc etica sociale ». La drammaticità di questa opposizione sta nel fatto che il Whyte è assolutamente cosciente che l'etica individualistica non offre più, oggi, una alternativa reale all'etica della socialità; e tuttavia egli rilutta alla liquidazione totale dell'individualismo. L'etica sociale è, per il Whyte, cc quel corpo di pensiero contemporaneo, il quale legittima dal punto di vista morale le pressioni che la società esercita sull'individuo >> « p. 10). Di essa Whyte ravvisa tre componenti. Innanzitutto, la fede nel gruppo collettivo di lavoro, anzichè nell'individuo, come fonte della creatività; la fiducia che il lavoro collettivo approdi a risultati più proficui e profondi di quello individuale. In secondo luogo, la fede nel cc senso di appartenenza » come suprema esigenza dell'individuo; la convinzione che « un uomo deve appartenere a qualcosa ed è inevitabilmente infelice se l'appartenenza non è quasi totale » (p. 58). Infine, la fede nella possibilità che la scienza individui le norme seguendo le quali si raggiungerà il massimo rendimento nel lavoro di gruppo e si otterrà la massima integrazione del singolo nell'universo sociale di cui egli fa parte. Contro la pressione dell'organizzazione e contro le suggestioni dell'etica sociale, il burocrate o il funzionario o il dirigente o il tecnico o il membro a 108 Biblioteca Gino Bianco

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