Nord e Sud - anno VII - n. 8 - settembre 1960

o minore consapevolezza, su questo punto si era tutti d'accordo: e le stesse polemiche sull'Europa vaticana e l'Europa socialista confermavano la co11vinzione generale che l'integrazione avrebbe, in ultima analisi, governato la sorte dei regimi interni dei paesi integrati. Perciò, la leadership morale, e perfino la leadership politica, an•dava di diritto, vivo De G~speri, alla democrazia francese, europeista e atlantica senza riserve. Non si può, adesso, rimanere responsabilmente sulle posizioni di De Gasperi: il regime gollista è avviato verso un'involuzione autoritaria o verso un'esplosione dalle conseguenze imprevedibili. L'europeismo massimalistico e intransigente ci porterebbe a risultati opposti a quelli che De Gasperi pensava di acquisire all'Italia. La prospettiva che potrebbe ·offrirci De Gaulle è quella dell'accettazione del fascismo di Franco e dell'esclusione delle democrazie britannica e scandinave. Probabilmente cc Il popolo » pensava a questo pericolo quando contrapponeva la « grande Europa » alla « piccola Europa ». Tuttavia, se tutto si riducesse a questo, si potrebbe salvare il futuro preoccupando·si di conservare i legami con la Gran Bretagna, cominciando dal risolvere, in un modo conveniente, il problema dei rapporti tra Mercato comune ed EFT A. Invece, quella della << grande Europa » è una formula ambigua, che non è stata creata dal cc Popolo », che non è neppure, in origine, inglese. Essa è nata in Francia, creata dai neutralisti, ereditata, durante la quarta Repubblica, dai gollisti, crociati dell'antieuropeismo, e fatta propria, subito dopo il suo avvento al potere, prima che una serie di circostanze lo convertissero a più prudenti enunciazioni, dal generale De Gaulle: essa significa in apparenza un protendersi verso l'Europa orientale, a cominciare dalla Polonia, e implica una politica estera francese di cc mediazione » tra oriente ed occidente; in pratica significa il vuoto, nel quale la Francia avrebbe una quasi totale libertà di manovra anche in seno all'alleanza atlantica. Non c'è, dunque, molto da scegliere: bisogna occuparsi della cc piccola Europa », ma rivedere quasi integralmente i termini del problema. Innanzitutto bisogna rimediare, superandola, alla situazione attuale. S'è creata una specie di diarchia franco-tedesca. Essa poteva apparire fatale e, sebbene avviata nei suoi presupposti fin dai tempi del lungo governo Mollet, poteva, entro certi limiti, far sperare in una influenza moderatrice tedesca sulle sempre risorgenti tentazioni fran-cesi di rovesciare la scacchiera. Ma la diarchia franco-tedesca l1a subìto una inaspettata evoluzione : Parigi e Bonn non l1anno quasi più alcun pt1nto in comune per quel che riguarda l'azione europeistica e sono invece stret8 BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==