Nord e Sud - anno VII - n. 6 - luglio 1960

città più grandi, hanno favorito certamente il diffondersi di comportamenti imprenditivi funzionali anche nelle aziende agricole. Si può affermare che in queste zo•ne, così come nelle città, la motivazione prevalente è l'aspirazione a livelli più alti e ad una composizione più variata dei . consumi. Nel secondo tipo di zone si può notare t1n certo squilibrio tra aspetti tecnici ed economici da un lato, aspetti sociali e culturali da t111altro lato. I nuovi investimenti e l'introduzione di nuove tecniche produttive sono stati operati, in prevalenza, dall'intervento pubblico. Esso è stato spesso sovrapposto, non solo, com'è ovvio, agli interessi dei ceti localmente detentori del potere e del prestigio sociale, ma anche ai valori, ai modelli di comportamento e alle motivazioni, tradizionali o addirittura arcaiche, dei ceti subalterni. Questa considerazione non vuole essere una critica: molto probabilmente non poteva farsi altrimenti. D'altra parte, l'intervento pubblico, favorendo la commercializzazione dei prodotti e nuovi insediamenti, condizioni entrambe positive per un rapporto più intenso e costante con le zone più evolt1te, e aprendo la possibilità di ascesa sociale· attraverso il successo economico, ha posto le condizioni per l'affermarsi di comportamenti imprenditivi funzionali e innovatori. Perchè tali condizioni operino concretamente, occorrerebbe accelerare la crisi della vecchia struttt1ra sociale, sostanziata in istitt1ti tradizionali quali il vicinato e la clientela, e dei vecchi valori culturali, quali il rispetto acritico dell'autorità dei notabili e delle tradizioni delle famiglie e della comunità. Nel terzo tipo di zone, in assenza di qualsiasi sviluppo economico, sia pure indotto, si manifesta più tenace la resistenza di str11tture sociali particolaristiche e diffuse, di valori culturali tradizionali, e più evidente è l'assenza di comportamenti imprenditivi ispirati alla funzionalità dell'azione. Certo, anche in qt1este zone giungono i riflessi della civiltà t1rbana, attraverso i mezzi di comu11icazione di massa, attraverso i rapporti demografici con zone contermini più evolute. Ma il contesto sociale. e culturale non consente che gli occasionali e indiretti rapporti fra la tradizionale civiltà contadi11a e la nt1ova civiltà urbana producano effetti apprezzabili. La distanza civile, così come la distanza economica, tra queste zone e le altre, in ct1i è in atto t1n processo di sviluppo spontaneo o indotto, tende ad aggravarsi. Da quanto si è detto, risulterebbe chiara la necessità di un intervento che, analogamente a qua11to avviene per la realtà economica, mirasse a contrastare la tendenza a forbice che caratterizza il divario sociale e culturale tra zone sviluppate e zone arretrate. Ma un tale intervento, estraneo alle tradizioni liberali dell'Occidente ancor più che l'intervento economico, incontrerebbe obiezioni rilevanti; in effetti, la modificazione programmata della cultura e dei rapporti sociali non può prescindere da giudizi di valore e da impostazioni « ideologiche» : la sua cc ideologia », in particolare, si opporrebbe a quella dei non pochi idealizzatori della civiltà contadina, contrapposta, per i suoi aspetti solidaristici e per la fedeltà alle tradizioni cult11rali, alla Biblioteca Gino Bianco

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