Nord e Sud - anno VII - n. 6 - luglio 1960

e il Security Exch~nge Act ·del '34, i poteri di controllo sulle attività di borsa delle autorità politich~ e monetarie. -si accrebbero e migliorarono. Ma, da allora, si è trasformata ed è migliorata soprattutto l'attitudine generale, delle autorità com~ dei comuni cittadini, e degli stessi uomini di affari, verso la borsa. La questione vera che si poneva nel quinquennio 1925-29 non era tanto dei mezzi tecnici più o meno adeguati, quanto di chiarezza di idee e di volontà politica. L'una e l'altra mancarono all'inizio del boom, quando rimpiego di alcune misure tecniche sicuramente disponibili (e in particolare della manovra del saggio dello sconto) sarebbe stato efficace. Mancarono anche quando il boom raggiunse proporzioni maggiori; ma, allora, anche rimpiego di misure non previste dalla legislazione vigente avrebbe condotto al crollo, sia pure da µn liv~llo meno elevato di quello raggiunto nell'autunno del '29 (a meno di non ipotjzzare, molto irrealisticamente, la possibilità di un controllo « psicologico » sul comportamento di una massa ormai frenetica1nente dominata dal desiderio di un guadagno o dal timore di una perdita). Che la chiarezza di idee intorno alla natura del boom mancasse anche jn osservatori meglio do_tati e disinteressati è significativamente provato da quanto dissero, anche dopo il crollo, economisti· come l'americano Fisher e lo stesso Keynes. Il primo continuò a pensare che il crack fosse stato originato da un comportamento « irrazionale » del pubblico, quasi cl1e dal pubblico, nelle condizioni proprie del boom, fosse legittimo attendersi un comportarnento ,, razionale» (ammesso che per comportamento « razionale » dovesse ritenersi la propensione a continuare negli acquisti). Keynes, da parte sua, affermava, ancora nel '35, che il boom del '29 poteva addirittura esserè mantenuto· su « basi solide» con una riduzione del saggio dell'interesse a lungo termine (op. cit., p. 287). Di fronte a questa sua visione retrospettiva c'è da domandarsi: ma poteva mai credere I(eynes che il boom - soprattutto nei suoi ~spetti borsistici - potesse continuare indefinitamente? E, se la risposta è negativa, non sarebbe stato peggio continuare a gonfiarlo (supposto ·che la riduzione del tasso- di interesse avesse avuto qualche effetto in questo senso)? . Se tale fu il mo.do di vedere dei saggi, risulta chiaro, anche a prescindere dagli interessi c~e impedirono la formazione tempestiva di una volontà politica contro il boom, che alla domanda intorno alla sua nascita, sviluppo e fi.ne non possa rispondersi in base a criteri astrattamente tecnici. Resta da chiedersi che cosa diede l'avvio al boom. La risposta, anche qui, non è tecnica; e va ricercata, con1e sottolinea Galbraith, in una prospettiva sempre più diffusa di (< New Era » economica che prese gli americani sulla base di ale.uni dati certi, ma soprattutto di una fantasia e di una frenesia di guadagno incontrollate. Vederla nel ritorno della sterlina alla parità aurea ·prebellica, deciso da Churchill nel 1925, sarebbe esagerato. È vero che a quella decisione può in parte farsi risalire il ribasso del saggio di sconto dal 4 al 3,5 per cento, operato nel 1927 dalla Federai Reserve Bank di New York proprio sottQ la pressione dell'Inghilterra e di altri Paesi, preoccupati dell'afflusso di fondi europei verso gli Stati Uniti; ed è vero che essa contribuì quindi ad ••allentare» il mercato americano del credito in un momento in cui sarebbe stato opportuno non farlo. Ma, come nota Galbraith, una riduzione del saggio di sconto non è. di. per sè misura nè sufficiente nè necessaria, · 122 Biblioteca Gino Bianco .I

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