Nord e Sud - anno VII - n. 6 - luglio 1960

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna AucusTo GRAZIANI, Le distanze fra le due Italie MICHELETrro, I dorotei MANLIORossi DoruA, Lo sviluppo agricolo della Calabria ROBERTO BERARDI, Esami in Sicilia MENIEGRÉGOIBE, Assistenza tecnica in Sardegna MARIODILio, La non inutile riforma agraria e scritti di SALVATORCEAFIEROS, ALVATORCEAMBOSUG, IUSEPPECIRANNAF,RANCESCO COMPAGNA,LDo DURANTE,GrusEPPE GALAsso, LUIGI Grosso, ENzo COLINOC, ESAREMANNUCCAI,LFONSOSTILE,NICOLATRANFAGLIA ANNO V I I • NUOVA SERI E • LUGLI O 19 6 O • N. 6 (6 7) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE • NAPOLI · Biblioteca Gino Bianco

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NORD . ESUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna . . · ·Biblioteca Gino Bianco

SOMMARIO Editoriale [ 3] Mich.ele Tito I dorotei [IO] Augusto Graziani Le distanze fra le due Italie [26] GIORNALE A PIO VOCI N.d.R. cc Il convegno delle riviste » [ 34] Nicola Tranfaglia Aldo Durante Alfonso, Stile Salvatore Cambosu Salvatore Cafìero Il giorriale radio in provincia [37] Ediliz-ia e sviluppo del Mezzogiorno [ 40] Scuole di Napoli: l'Istituto Pontano [ 45] I ladri d-i bestiame [ 50] La scuola e le trasformazioni clel mondo rurale [52] DOCUMENTI Manlio Rossi Doria Cambiare l'accento riei piani cli sviluppo agricolo della Calabria [58] PROPOSTE E COMMENTI Cesare Mannucci Le prospettive econoniiche della montagria [64] Mario Dilio La non iriutile riforma agraria [ 67] PAESI E CITI A Roberto Berardi Esami in Sicilia [77] Menie Grégoire Assisteriza tecnica in Sardegria [92] Una copia L. 300 • Eetero L. 360 Abbonamenti Sostenitore L. 20.000 Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1. 700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 intestato a Ed. Scientifiche Italiane S.p.A. Via Roma, 406 Napoìi IN CORSIVO [104] CRONACA LIBRARIA [ll3] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telef. 392.918 Abbonamenti, distribuzione e pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. - Via Roma, n. 406 - Napoli - telef. 312.540 - 313.568 Biblioteca Gino Bianco

Editoriale Il processo di Santa "!.1 aria Capu.a Vetere per l'uccisione del sindacalista Salvatore Carnevale; il processo di Napoli per il rapime11,to del barone Agnello; le conclusioni cui è pervenuta la com1nissione pa rlamentare d'inchiesta dell'Assemblea siciliana sull'affare Santalco-Corra o, e soprattutto r ambigiiità. d,i tali conclusioni; i risi,ltati parziali delle indagini clie sono iri corso ad Agrigento per l'uccisione del commissa rio Tandoy, e soprattutto gli aspetti politici di queste indagini: tiitto ciò ha in vario modo contribuito a richiamare l'attenzione dell'opinione p ubblica, e non soltanto di quella nazionale, sulla situazione siciliana e sul suo allarmante deterioramento politico e civile. La Sicilia, dunque, c ontinua a far parlare di sè, ad occupare quotidianamente itna parte cospicita dello spazio cJie i giornali decZ.icanoalla cronaca politica ed alla cronaca nera, senza clie, spesso, vi sia possibilità da parte del letto re di distinguere tra l'una e l'altra cronaca: segno evidente, questo, di u na particolare condiziorie politica e sociale che non può lasciare indif f erenti i partiti nazionali, sia governativi che di opposizione. Se il delitto Tandoy è i,no dei tanti di una lunga serie di omicidi non recenti clie si collocano chiaramente si1,-uno sfondo politico e c he sono riniasti tiitti impu1iiti, rielle ultime settimane si sono dovuti re gistrare nell'Agrigentino 11,umerosialtri fatti di sangue, dei quali non s appiamo quanti abbiano attinenza con le lotte di supremazia ingaggia te dalle faz·io1ii mafiose che si contendono il potere, e quanti siano u na pura e semplice manifestazione di criminalità, espressione d,i un a mbierite e di una mentalità primitivi. E come se ciò 1ion bastasse, u na recrudescenza delinquenziale si è verificata nelle ultime settimane anche nella zo1ia di Palermo. Nicola Adelfi, sulla «Stampa>> del 21 g ii1gno, ha potuto tracciare, sulla scorta delle notizie di cronaca pubb licate i1i tre soli giorni dai g'iornali siciliani, un quadro impressionan te di delitti sanguinosi, di attentati, di trafugamenti di cadaveri a sco po 3 . BibliotecaGino Bianco

di estorsione, di ricatti, cli intimidazioni. Spingeridosi più in là, alla lettura dei giornali delle prime settimane di giugno, si ricava che non passa giorno senza un omicidio; e poche volte l'assassino viene indiuiduato, quasi mai si ha la possibilità, pur conoscendone il nome, di portarlo avanti ad un tribunale e farlo condannare. I corrispondenti dei grandi giornali nazionali che si sono recati nell'isola ancora una uolta, o sono venuti a Napoli per seguire, nelle aule dei tribunali campani, i processi alla mafia, hanno ancora una volta potuto constatare che tali processi si concludono sistematicamente iri un, riaufragio contro gli scogli della paura e dell'omertà. Così le cronache della Sicilia, quelle di ieri riesumate dai processi e quelle di oggi risultanti da nuot'e indagini o da nuove inchieste, hanno riproposto al paese un problema che non può essere più sottovalutato come lo è stato fino ad oggi da tutti i governi, nazionali e regionali. La delinquenza in Sicilia, per la sua attività e più ancora per la sua impunità, è una vergogna nazionale; e l'opinione pubblica regionale dovrebbe proprio perciò considerarla più cocente. In ogni modo così rion si può più andare avanti. A mali estremi, rimedi estremi: e che si tratti di mali estremi rion sembra clie si possa metterlo in dubbio dopo quello che da anni sta accadendo, con sempre maggiore gravità e intensità. Tutti gli italiani e i siciliani migliori ne sono convinti. L'opinione pttbblica è giustamente in allarme : incolpi la mafia. o chiami in causa le incredibili condizioni di arretratezza sociale che contraddistinguono vaste zone della Sicilia occidentale, essa si rende conto clie una tale situazione non è più tollerabile, che perdurando un clima in cui il delitto è nell'aria ogni sforzo economico per risolleva.re le condizioni dell'i,sola è destinato - come rilevava Nicola Adelfi - ad inaridirsi. A non rendersi conto di ciò, e a niettere in dubbio la gravità della situazione siciliana, è invece rimasta l'autorità siciliana e, purtroppo, anche quella centrale, che insistono nel dichiarare riarmale la situazione della Sicilia e a negare la stessa evidenza delle statistiche ogni volta che il problema della delinquenza viene riproposto all'opinione pubblica ([ultima manifestazione in ordine di tempo di un siffatto atteggiamento ci è stato offerto dalle singolari dichiarazioni rese in i\ssemblea alla fine di giugno dal presiderite del governo regionale, il barone Majorana della Nicchiara); e a negare la sanguinosa evidenza pare che siano rimasti pure il mantovano cardinale Ruffini e quei siciliani, litigiosissimi, che in ogni discorso che si riferisce alla mafia credono di intravvedere una intenzione di offesa, o per lo meno di malevola insi4 BibliotecaGino Bianco

nuazione, ai danni della reputazione dell'isola, e magari u,n attentato all'autonomia regionale. Ma se f atteggiamento di questi ultimi può in qualche modo spiegarsi chiamando in causa lo spirito di campanile, niente giustifica l'atteggiamento delle autorità civili e del cardinale: del quale si deve dire che gravissime sono state le sue dichiarazioni al corrispondente del « Messaggero >>; che non convincente è stata la smentita; che sintomatica è stata la sottovalutazione dell'attività criminale della mafia da parte di chi si è più volte proclamato ammiratore del frarichismo e fautore dell'apertura a destra. Questo dell'atteggiamento delle autorità civili e religiose è, a nostro avviso, lo scandalo maggiore che viene fuori dai fatti siciliani; ed è anche la causa principale del perdurare della situazione che si è denunciata. Fino a quarido vi saranno siciliani che si ostineranno a negare i mali estremi dell'isola, invece di combatterne la cliffusio·ne, tali mali dovranno infatti fatalmente aggravarsi, qualitativamen.te e quantitativamente; ma spetta alle autorità affrontare decisamente la situazione, riportare sicurezza e tranquillità in certe zone che r più di tutte ne hanno bisogno, perchè si trovano per la prima volta impegnate in uno sforzo di a1nrnoclernamento delle proprie strutture produttive e di industrializzazione. Il perdurare della situazione attuale nelle provincie della Sicilia occidentale rischia infatti di annullare i progressi compiuti dalla regione in og·ni campo delle attività economich.e. È di questi giorni la posa della prima pietra del nuovo grand'ioso stabilimento petrolchimico dell'ENI a Gela. L'ing. Mattei ha detto giustamente che l'iniziativa dell'azienda di Stato potrà operare u·n rivolgimento non solo delle condizioni econorniche della zona, ma anche del costume, delle abitudini, della mentalità degli abitanti. Tutto ciò è vero in li-nea teorica. Ma noi sappiamo che, se non. viene estirpata alle radici, la criminalità organizzata può trasformarsi ed adattarsi al nuovo ambiente, assumere le forme ancora più pericolose e clannose del racket, a danno degli imprenditori e degli operai. Noi sappiamo che le nuove iniziative industriali sorte in questi ultimi arini ·nell'Agrigentino non hanno contribuito a migliorare l'ambiente politico della zona, non hanno eliminato il terrore o intaccato il predominio delle consorterie mafiose; sappiamo anche che per la Sicilia tutta intera restano aperte due strade, per dirla con François Bondy: quella che potrà portarla molto avanti nel progresso, innalzarla alla condizione di un nuovo Texas, e l'altra che potrà ridurla alla condizione di un qualunque rissoso paese mediorientale, dominato dai privilegi e da una classe· politica corrotta e sopraffattrice. 5 Biblioteca Gino Bianco

Di per sè le iniziative industriali non, bastano a risariare un ambiente carne qu,ello di certe proviricie siciliane: è necessario che contemporaneamente si dia niario ad una vasta opera di bonifica sociale e politica, che si faccia sentire la volorità di ri·nriovamento· e la. forza della democrazia, che· si aiutino i siciliani pii't volenterosi, più moderni, più dotati di spirito di iniziativa a combattere i mali dell' ambierite, le piaghe tradizionali dell'isola. A questo, punto 1 è quindi doveroso clo1nandarsi quali possono essere i rimedi estremi citi fare immediatamente e risolutamente ricorso. Sgombriamo anzitutto il campo da un vecchio equivoco contro il quale ci siamo già altre volte pro1iunciati, sin da quando pubblicammo « l'antologia della mafia>>di Crescerizo Guarino: i mafiosi sono delinqiienti e come tali devo1io essere considerati, non come personaggi ro1nantici. Lo stesso Iridro Mo,itanelli, che pure in, una, recente inter- -oista ad itn q_uotidiario parigino ha detto nella forma paradossale che ali è co1isueta alcun,e dolorose verità sulla Sicilia, ha qualcosa da rimproverarsi da questo punto di vista, perchè, ann.i or sono, scrisse sul <<Corriere» cose edificanti a proposito di Calogero Vizzini, depositario cl-iuna giustizia sicura e superiore, romantico custode di un, a1itico di1itto, bonario amministratore di uria legge ancestrale. E 1ion parliamo rlei vari Vittorio Emanuele Orlanclo che harin.o più volte esaltato lo spirito di mafia come segrio di disti1izione degli -uomini forti e buorii. Onde non c'è da stupirsi se ancora oggi h.a libero corso u1ia iriterpretazione romantica dell'attività mafiosa. C'è poi, stretta1nerite co1inesso al primo, un secondo vecchio equivoco da chiarire. Si dice clie la deli1iquenza sia in Sicilia il risultato di una situazione ~ociale e che quindi essa non costittiisce un problema di ordi1ie ptibblico, da risolversi. con il rafforzamento delle stazioni dei carabinieri. Qu,esto è vero fino ad un certo punto: se nori altro perchè resterebbe da spiegare come mai, hi altre zorie della Sicilia, e più in generale del Mezzogiorno, non c'è mafia, non c'è delinquenza, non si verificano catene di delitti, la vita politica scorre i1icr-uenta, anche se le coridiziorii sociali non sono me11,o,miserabili di quelle della provincia di Palermo e della provincia di Agrigerito. È vero che sul fenomeno hanno in-fluenza la tradizione, l'ambiente, le part_ico.Zar-icondizioni storiclie e sociali ùi citi lia sempre vissuto, una parte della Sicilia, e che i problemi ereditati dal passato oscuro vann.o affrontati con mezzi e metodi adeguati; ma è anclie vero clie la delinquenza in Sicilia è anche 'Un problema di ordine pubblico e va risolto anche con i carabinieri. 6 BibliotecaGino Bianco

Purchè i carabinieri siano 1nessi in condizione di agire e di colpire dove si deve colpire, indipendentemente dalle protezioni politico-elettorali di vario ordine e grado che sistematicamente coprorio questo o quel datore di «preferenze>>. Il che non significa che si debbano· abolire le elezioni e che si debba mandare nell'isola u11,aedizione aggiornata del prefetto Mori, munita di pieni poteri e di mezzi coercitivi eccezionali; perchè non, esitiamo a. dire che rimedi come questi sono peggiori dei mali: significa, più semplicemente, che va affrontato il problema dei rapporti fra taluni ambienti politici e la mafia. Questo è, a nostro avviso, il punto focale della situazione siciliana. Che cosa ha fatto la nostra classe dirigente in tutti questi anni? C'è stata mai da parte degli ambienti governativi italiani e del partito di 1naggioranza l' inte·nzione di affroritare seriamente problemi come quello della mafia e della crimirialità? Per troppo tempo i maggiori partiti italiani, tra cui la D.C., arizicliè affrontare e combattere certe situazioni siciliane se ne sono lasciati dominare. Il calcolo elettoralistico è la chiave c1ie spiega tale singolare e aberrante condotta: c'è da rimanere sconcertati nell'apprendere quel che viene fuori da certe indagini della polizia e dall'andamento cli taluni processi di ambiente siciliano. Chi voglia documen,tarsi in proposito rion ha clie da s-f ogliare i giornali degli ultimi due mesi. La mafia, stando a quel che si scrive sempre più apertamente, domina la vita politica e le lotte elettorali di alcune zone siciliane: si parla di candidati della mafia nelle varie liste, di spartizione delle provincie in più feitdi, dominati ciascuno da una consorteria mafiosa e legati a questo o a quell'uomo politico. Si fanno perfino i nomi di parlamentari del partito di maggioranza e dei partiti di destra che si servirebbero per essere eletti dell'appoggio dei mafiosi. E nessuno ha smentito e querelato i giornali che tali nomi hanno scritto senza reticenze. È di questi giorni la notizia che il giudice istruttore del processo Tandoy, rompendo ogni esitazione,. lia convocato alcuni parlanientari ed espon.enti politici democristiani per interrogarli sul recente fatto delittuoso di Agrigento, del cui sfondo politico tutti sembrano orfflai convinti. Mai, per quel che ne sappiamo, si era giunti a tanto. Le autorità civili e gli ambienti politici italiani hanno ora il dovere di non chiudere gli occhi alla realtà e di agire anch,essi in maniera responsabile e decisa. Il Ministero degli interni metta perciò allo studio un piano straordinario di intervento e poi predisponga i mezzi per attuarlo (in materia di porto d'armi, per esempio, ci sarebbe molto da rivedere); e se necessario si riformi magari la legge elettorale, per lo meno quella delle 7 BibliotecaGino Bianco

« regionali » ( non si possono abolire le elezioni come vorrebbero i reazionari, ma si possono abolire le « preferenze >> ), in modo tale da recidere i nodi più tenaci del sistema attraverso cui la mafia cerca di condizionare la classe dirigente di taluni partiti e di imporre le sue condizioni: protezione contro preferenze. Tutto ciò, allo stato attuale delle cose, è necessario, è urgente, è indispensabile; e tuttavia non basta più, specialmente dopo il caso Santalco-C orrao e dopo che si è avuto sentore di una degenerazione della lotta politica in rissa fra gruppi cli potere disposti a tutto. Occorrono anche importanti decisioni politiche, che non posso1io più essere rimandate. La soluzione di destra dell',ultima crisi del govern.o siciliano, ridando forza ed autorità a quegli ambie,nti clie sono maggiormente compromessi col passato, rende difficile, se non addirittura impossibile, affrontare con decisione i mali della Sicilia. Abbiamo visto come reagiscono gli esponenti della destra in Sicilia quando si parla dei mali che affliggono quella nobile regione: per costoro questi mali non esistono, sono soltanto gonfiature giornalistiche o speculazione di parte dei loro avversari. Abbiamo avuto una ennesima prova dei disegni di questi esponenti con l'ultima seduta alla Sala d'Ercole. La destra ha interesse a mantenere immutata la struttura eco11,omicae sociale dell'isola; ne sanno qualcosa i sindacalisti che hanno più volte dovuto affrontare le vendette della mafia. La D.C., anzichè schierarsi decisamente contro la destra, ha preferito cercarne l'alleanza e subirne i ricatti. Con quale vantagg·io per l'isola, con quale risultato per il suo prestigio di partito democratico,? Con quale possibilità di procedere ad una bonifica di taluni suoi stessi quadri periferici? La Democrazia cristiana è stata troppe volte accusata dalla stampa comunista e non domunista di mantenere rapporti co,n la delinquenza della Sicilia, occidentale; si tratta evidentemente di esagerazione se con accuse siffatte si vuole far intenclere che è il partito di maggioranza il quale, deliberatamente, attraverso i suoi organi responsabili, cerca o subisce alleanze di tal fatta; purtroppo, però, dopo il delitto Tandoy si è tornato a parlare di collusioni tra dirigenti periferici democristia11,i e la mafia, per cui ora più che mai incombe alla D.C. il dovere di prendere quelle iniziative che possano tranquillizzare l'opinione pubblica e allontanare i sospetti. Essa ha il dovere, per esempio, di smentire il successore di Calogero Vizzini, quando dichiara al «Messaggero>> di incontrare periodicamente a Roma e a Palermo uomini politici e parlamentari, perfino uomini di governo. 8 Biblioteca Gino Bianco

Ma come ciò sarà possibile, se la D.C. in Sicilia non cambia rotta, non imbocca una diversa strada, non recide certi legami che la tengono avvinta agli interessi della reazione? Occorre che la D.C. prenda con urgenza, come abbiamo già detto, d,ue decisiorti politiche: la prima riguarda l'apertura a sinistra per un nuovo governo regionale. Non è con il governo dell' on. Majorana, nè con l'apparato dell'on. D'Angelo che si può affrontare la lotta alla mafia e alla delinquenza organizzata in generale; occorre mettere ai margini del potere i partiti e i gr,uppi che più risultano compromessi e che intrattengono più fitti e abituali rapporti con gli amici degli amici, con coloro che controllano mafiosamente la distribuzione dei voti e delle « preferenze >>. La seconda decisione da prendere riguarda la proposta di una. commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia in Sicilia, commissione che la D.C. avrebbe più interesse di qualsiasi altro partito a promuovere, proprio perchè essa, la D.C., ha il maggiore interesse a fugare i sospetti che circondano la sua azione nell'isola, e perchè la sua organizzazione cli partito di governo è la più esposta alle infiltrazioni ma:fiose. Nel novembre del 1958 i parlamentari socialisti presentarono alla Camera lÌ,eideputati una proposta di incliiesta parlamentare sulla mafia; tale proposta incontrò a suo tempo il favo re della sinistra democristiana, e noi ricordiamo una nota di commento dell'Agenzia Radar in cui si esortava il partito di maggioranza ad appoggiare l'iniziativa, anzi a pretendere che l'inchiesta non si limitasse ad indagare sull'aspetto esteriore del fenomeno, ma ricercasse le cause che ne sono all'origine e che condizionano la struttura attuale - sociale, politica, economica - della Sicilia. La D.C., chiamata direttamente in causa dagli ultimi avvenimenti, e per la responsabilità di governo che ha di fronte al paese, non ha che da appoggiare la proposta socialista quando - come pare - questa nei prossimi giorni sarà messa in discussione : senza lasciarsi fuorviare dai troppi interessi che premono in senso contrario, e senza la preoccupazione di alienarsi la simpatia di qualche capo-elettore o notabile siciliano. Se si dovesse ancora cedere a preoccupazioni del genere, se non si volesse colpire quando e dove risultasse necessario colpire, se non si volesse affrontare il costo elettorale e politico del risanamento della Sicilia, la responsabilità non ricadrebbe soltanto, e nemmeno prevalentemente, sui democristiani siciliani, ma anche e soprattutto sui democristiani di tutta Italia; perchè i democristiani di t1,tta Italia oramai sanno e vedono che cosa succede nell'isola. 9 Biblioteca Gino Bianco

I dorotej 1 di Michele Tito I dorotei sono cinesi: la definizione è di un parlamentare democristiano di destra. La loro origine politica è incerta; il loro farmarsi è sfato occasionale e contraddittorio, la· loro natura è indefinibile, i loro metodi possono essere egualmente raffinati e grossolani, i loro obiettivi sono ancora da stabilire. Come espressione di un settore della classe dirigente, come rappresentanti di una parte del paese possono essere tutto o niente. La loro forza nel partito si distribuisce in maniera più o meno uniforme tra tutte le regioni italiane; a voler fare un'analisi serrata, non esistono più di quindici dorotei la cui funzione e la cui azione possano essere rapportate alla realtà 2 , alla storia politica e alla struttura sociale del collegio elettorale cl1e rappresentano. Un doroteo di destra, come l' on. Taviani, è stato eletto a Genova anche coi voti dei sindacalisti e 1 Per rapidità di esposizione e per co1nodità di sintesi, sono stati trascurati, in questa trattazione molti fattori importanti, come quello della nascita e della evoluzione, fino all'autonomia dal partito, del sindacato cattolico; o quello del formarsi di una classe di finanzieri democristiani; o quello del gioco del grande capitale e delle minute rivendicazioni locali. Non si è approfondito poi un alh·o elemento di crisi nella D.C.: l'evolvere delle prospettive di politica estera. È un elemento importante, ma ancora di difficile analisi per quel che riguarda il partito. Questa trattazione presuppone quindi la conoscenza panoramica dell'evoluzione della D .C. e si sforza di isolare solo gli elementi specifici che caratterizzano l'atteggiamento doroteo. 2 È noto che dorotei eletti in quanto tali non ne esistono perchè la corrente s'è formata dopo le ultime elezioni. Tuttavia, si presume che i dorotei non abbiano alcun appoggio a Milano, in vaste zone del Lazio, ove predomina la destra, in alcune zone della Toscana controllate dalla sinistra. Sono più forti, sembra, nel Veneto, in Liguria, in Puglia, in Calabria, nell'Umbria, in Campania. 10 Biblioteca Gino Bianco

degli aclisti; t1n doroteo di sinistra come l'on. Moro, è stato eletto in Puglia· coi voti preferenziali della borghesia più retriva di Bari; un doroteo praticamente trasformista e nullista, disponibile, come si è visto, per tutte le politiche, come l' on. Segni, è stato eletto in Sardegna coi voti di una borghesia scossa dagli scorpori da lui promossi e di un sottoproletariato in parte beneficato dalle sue riforme e in parte deluso per il risultato di esse. Vi sono gli anticlericali e i clericali: quando sono di destra possono fagocitare un Andreotti, quando sono di sinistra lo sono apparentemente con più fermezza di un Fanfani e, magari, con I)iÙ coerenza di un Sullo; quando sono di centro come l'on. Cui, negano il senso stesso della collaborazione democratica di centro, esigendo che tutti i partiti « convergano » sulla D.C. subendone puramente e se1nplicemente le tendenze egemoniche di potere. Si potrebbe continuare così a lungo. Si potrebbe di.re cioè dei dorotei tutto il 1nale che da quindici anni a questa parte s'è detto della De1nocrazia. cristiana, partito composito, esposto a tutte le te11tazioni percorso da· mille umori, rifugio di ogni tra11sfuga. Non si mentirebbe ma non si direbbe tutta la verità. I dorotei, in realtà, non costituiscono un gruppo politico, incarnano, IJiuttosto, un momento politico: si vede ora con sufficiente cl1iarezza che ,. essi sono destinati a scomparire fisicamente come gruppo appena mo- .. streranno d'essere qt1alcosa. La loro importanza·, nel momento attuale, sta in questo : cl1e per il fatto stesso della loro esistenza bloccano la vita politica, fermano il respiro della nostra democra·zia. È questa la condizione della· loro sopravvivenza: non si può dire cl1e abbiano voluto il governo Tan1broni, certan1ente anzi non l'l1anno voluto, ma il governo Tambroni, nella misura in cui è considerato « amministrativo » e cc temporaneo », non si spiegherebbe senza di loro. Il pericolo che rappresentano è grave: costituendosi come somma di gruppi di potere, sono naturalmente portati a prolungare fino ai limiti del possibile uno stato di attes~ immobile; come il chirurgo che ha fermato il cuore del paziente per meglio operarlo e teme, operando, di dover constatare che la morte « provvisoria » è diventata definitiva. Non ci si può far ingannare dalle apparenze: l'on. Moro, che, come il più autorevole dei dorotei, non è veramente doroteo, può determinare domani uno strappo nella compagine dorotea, altri posso110 sacrificare NI oro in non1e di un' avve11tura inedita. La realtà di fondo è che il « 1no1nento » doroteo minaccia di prolungarsi, perfino con una: scelta di destra o di centro addirittura con una scelta di sinistra. L'analisf inll · Biblioteca Gino Bianco \

fatti, di coloro che fanno nascere i dorotei dall'improvviso smarrimento provato dinanzi al bivio che la D.C. aveva raggiunto con la guida di Fanfani è un'analisi impressionistica. Si è forse più vicini alla verità quando si dice che la Democrazia cristiana non aveva neppure raggiunto un bivio, s'era· semplicemente accorta, alla Domus Mariae, d' essersi smarrita nel bosco. Alcuni hanno scelto un sentiero, sentieri diversi, e sono andati ciascuno per la propria strada: i dorotei si sono accampati per farsi compagnia a vicenda. Ora, questo non è accaduto per caso. Con Fanfani il massimo della tensione politica, cui mai era l)ervenuta la· Democrazia cristiana, veniva richiesto mentre in Italia come altrove si accentuava il processo di e, spoliticizzazione » delle società che è già teorizzato dagli studiosi francesi, britannici e americani; il massin10 di concretezza nell'azione economica veniva chiesto nella fa·se culminante della recessione economica; il massimo impegno morale veniva reclamato in un periodo di dilagante scetticismo; il massimo dj impegno organizzativo si rendeva necessario, l)er sostenere tanti sforzi, in un momento di crisi organizzativa sotto l'apparente fervore attivistico, quando il partito aveva consumato fino in fondo l'esperienza di una incapacità a collegare sistematicamente, e in maniera autonoma, se stesso al corpo elettorale. Dopo quattro anni di intenso lavoro, dal Congresso di Napoli alle elezioni del '58, l'on. Fanfani non era riuscito a modificare sostanzialmente la realtà di base del partito. Le gerarchie ecclesiastiche, al momento opportuno, avevano imposto tutti i loro t1omini, il meccanismo delle clientele non era stato smantellato, le tendenze trasformistiche vigoreggiavano. f,anfani non era riuscito, ad esempio, neppure ad otte11ere che la direzione provinciale di Bergamo rinunciasse a includere nella lista dei candidati per le elezioni tutti e tre i membri della famiglia Jervolino. La direzio11e di Bergamo passò oltre il veto della direzione centrale. Casi analoghi si verificarono un po' dovunque. Con le elezioni del 58, così, non c'era stato ricambio nel corpo parlamentare del partito, i neoeletti erano soltanto una quarantina e spesso non dovevano il loro accesso al Parlamento a'i favori del segretario. Fanfani era forte perchè aveva, ad esempio, incorporato i coltivatori diretti dell' on. Bonomi, perchè aveva reintegrato nei quadri gli elementi dell'Azione cattolica, perchè, nella sostanza, aveva lasciato credere che il suo r1on sarebbe stato un riformismo, e forse neppure un revisionismo: sarebbe stato appena un « correttismo », contenuto 12 Biblioteca Gino Bianco

. entro i limiti appena indispensabili a conservare la forza e la preponderanza del partito nella vita politica ita·liana. Tutto questo non sminuisce i meriti di Fanfani, e non riduce la sua funzione a dimensioni poco rilevanti. Egli era arrivato troppo tardi: e la colpa non era sua. Il partito, nella sua natura e nella sua struttura, era già diventato doroteo: tra: governi amici e governi transitori si attendeva qualcosa fin dal '53. L'errore di Fanfani è simile a quello di MendèsFrance nella Francia del '54: l'illusione di poter operare in una struttura già articolata, modificandola dall'interno col sostegno degli stessi fattori che, obbiettivamente, rafforzavano lo stato di cose inizale. Alla Domus Mariae il partito si rivelò a se stesso. Chiamando l' on. Moro a guidarlo tendeva più a cristallizzare uno « stato di necessità » latente che a salvare una prospettiva. Era· una scelta sbagliata, ma era una scelta dorotea. L'elemento-chiave della realtà democristiana sta nella risposta a queste due domande: perchè il partito era divenuto doroteo e perchè, da doroteo, aveva chiamato Moro alla segreteria. Il che significa, nella • sostanza, domandarsi perchè il partito seguì Fanfani senza volere Fanfani e perchè, ora, ha nostalgia di Fanfani pur opponendosi al suo ritorno. Bisogna dunque fissare alcuni momenti decisivi della storia della D. C., osservandola dall'angolo visuale particolare della maturazione dorotea. È concordemente riconosciuto che l'irruzione, politicamente rilevante, dell~ sinistra nella D. C. s'è avuta con la crisi determinata dal fallimento della legge elettorale del '53. Il « sistema » qemocristiano, formatosi tra il '48 e il '50, e rinsaldatosi tra il '50 e il '53, si trovò minacciato. Qual' era questo sistema? Quando, il 6 settembre del 1946, don Sturzo sbarcò a Napoli, reduce da:l lungo esilio, era in polemica con De Ca.speri: aveva iniziato una delle sue « battaglie perdute », opponendosi alla firma del trattato di pace. Don Sturzo, a quell'epoca, aveva già capito che la Democrazia cristiana non era il Partito popolare. Rimane da vedere se aveva capito che la Democrazia cristiana non poteva essere il Partito popolare. La realtà politica italiana era, evidentemente, totalmente diversa:. Si opera va su un terreno inesplorato. Il problema fondamentale dello stato si poneva in maniera nuova. Don Sturzo rimase un isolato. Tuttavia quel che Don Sturzo non aveva capit~ o non aveva accettato, non era 13 Biblioteca Gino Bianco

sentito dagli esponenti del vecchio Partito popolare. In un certo senso, l « uomo solo » non era Don Sturzo, era De Gasperi De Ga·speri dovette contenere e mortificare la spinta iniziale dei cc costituenti » e dei « professori11i », che mettevano tutto in discussione, formulavano lo scl1ema dossettiano della « crisi », reclamavano con La Pira il « muta1nento della classe dirigente e delle leggi »; dovette arbitrare costantemente il conflitto tra i vecchi notabili del Partito popolare e gli esponenti dell'Azione cattolica· (uomini, questi ultimi, cl1e durante il fascismo s'erano preparati a svolgere una fu11zio11epreminente nella vita pubblica e spesso avevano, in rapporto alla totale ignoranza d'ogni forma di attività associativa che affliggeva· la 111aggioranza degli italiani, buoni numeri per agire, ma erano permeati di integralismo); clovette, con le coalizioni democratiche, indurre progressivamente i liberali, i socialdemocratici, i repubblicarLi a superare i miti, i pregiudizi, l'ina1terabile staticità uninomìr1ale del prefascismo 3 ; dovette vincere le resistenze di alcuni e ]e diffidenze di tutti di fronte alle grandi prospettive di unificazione europea, alle quali solta11to, alla fine, egli credette di poter affidare la soluzione radicale dei proble1ni della democrazia italiana; dovette, infine, difendere l'at1tonomia del partito, e mantenere la Chiesa estra11ea ad ogni for1na di intervento diretto in qualche modo legittimato, nella' attività della Democrazia cristiana. Se si guarda bene, non erano, questi sforzi da innovatore. Era il 111inimonecessario per conservare la democrazia in Italia. Il fatto che a De Gasperi non fu consentito altro, se non la ricostruzione e l'impostazione, piuttosto paternalistica, di alcune riforme, sia pure importantissime, è indicativo di quanto fosse arretrata, già all'inizio della Repubblica, la società italiana. La sitl1azione era· tale, tra il '50 e il '53, che il « centrismo » degasperiano, la· sensibilità ai problemi dello stato moderno, lo slogan del partito di centro cl1e si muove verso sinistra, apparirono ad un certo punto già troppo arditi ad una parte delle forze di3 È nota l'importante funzione che hanno e ercitato alcuni uomini di alto pretigio nei primi anni della Repubblica: da Orlando a Bonomi, a N itti, che sostanzialmente non avvertivano la natura dei nuovi problemi, e agivano in funzione di freno. È nota anche la funzione determinante che ebbe De Nicola, il quale, a parte i suoi meriti, ha orientato tutti i rapporti tra gli organi del regime in una direzione « aristocratica », costante1nente i ·pirata dal criterio della segretezza, dell'isola1nento, della non partecipazion dell' opjnione pubblica alla vita dei maggiori organismi dello Stato. La segretezza che circonda tante cose è una caratteristica quasi esclusiva della no5tra de1nocrazia : il danno che ne deriva, falsando tutta la struttura della nostra vita civile, è evidente. 14 BibliotecaGino Bianco

rigenti. Le tesi « produttivistiche » nell'organizzazione dell'economia na:- zionale, la scoperta, che appena allora si faceva in Italia, delle dottrine keynesiane, sembravano eresie paurose. Le cronache politiche di quegli anni lo documentano con impressionante evidenza: quanto, in realtà, fosse asfittica da noi la circolazione delle idee e quanto l'intera nostra classe dirigente fosse impreparata ad assimilare le scoperte che in tutto il mondo civile erano state fatte nell'immediato dopoguerra: o addirittura durante il fascismo, lo si può capire solo oggi. E, naturalmente, questa società, uscendo dalla grande prova della Resistenza, voleva ora il riposo, non era disposta: ad accogliere gli appelli dossettiani e Iapiriani, viziati di contraddizioni, sospetti anch'essi di integralismo. Era una società fonclamentaln1ente immobilista 4 • L'articolo che La Pira pubblicò in « Cronacl1e sociali n nell aprile del '50 (L'attesa della povera gente) aveva fatto molto rumore, ma era stato digerito subito come un episodio abnorme, senza conseguenza alcuna. Gli schemi dossettiani rimasero lettera morta, non trovarono echi, furono soffocati dalla reazione delle stesse sfere delrAzione cattolica. I propositi pianificatori di Fanfani rimasero semplici velleità. La « grande paura » del '48 e l'incubo della guerra, con l'ininterrotta tensione difensiva che dominò l'Italia negli anni successivi, ridussero le nostre classi dirigenti all'economicismo puro, resero accettabile, almeno sul piano teorico, una pura e semplice politica· di bilancio, accreditarono il mito delle leggi « ferree » dell'economia contro le quali invano protestavano i « professorini » in nome di una società cristiana. È il contributo di sacrificio pagato dal nostro paese alla guerra fredda. La Democrazia cristiana, insomma, non potè essere nè democrazia· cristiana, nè partito popolare, nè democrazia sociale cristiana. S'era ridotta al << vespismo ». Ci fu un momento, prima del '53, in cui nei convegni della: << vespa » si raccoglievano un centinaio di parlamentari democri- . stiani: vi confluivano i democristiani « nuovi », provenienti, cioè, da esperienze elettorali non fortunate in altri partiti, sopratutto il liberale e il qualunquista, e vecchi « notabili » del partito popolare. In tal modo si realizzava una specie di intesa: tra una parte del 4 Non è stata ancora fatta una storia, dal '46 al '53, delle « occasioni mancate » e delle « ambizioni rientrate » per modernizzare la nostra vita civile: dal codice penale alla disciplina delle borse, molte volte il Parlamento s'è rivelato più avanzato del paese, e costantemente s'è rifugiato nella rinuncia. Su questo terreno, che è il terreno dell' infrashuttura politica italiana, le destre d'ogni natura hanno sempre vinto. 15 · Biblioteca G·ino Bianco

nucleo originario, il solo veramente consistente, della D. C. (quello dei « notabili » popolari, divenuti moderati e trasformisti) e la maggioranza degli esponenti del clientelismo non politicamente qualificato sopratutto dell'Italia meridionale. Al vertice come alla base, la Democrazia cristiana assorbiva in quegli anni tutti i rappresentanti dell'arretratezza politica meridionale, della passività sociale e addirittura morale delle regioni depresse dell'Italia centra1e e del piccolo e grande affarismo settentrionale. La Democrazia cristiana non andava per il sottile: con azione metodica rastrellava una ad una le sacche del clientelismo e delle sopravvivenze del sistema uninominale e colmava di onori i loro esponenti. Lo stesso trattamento di riguardo venne fatto anche a ex fascisti. Fu il grande momento degli cc avvocaticchi », degli agrari, dei medici di campagna e dei capoccia del sottoproletariato urbano. Fu il momento in cui il segreta'rio della Democrazia cristiana faceva due ore di antica1nera per essere ricevuto da Lauro, cl1e aveva da poco fondato un proprio partito; .,e lo stesso !aurismo si innestava, come una variante protestataria, nel processo di scadimento e di capitolazione dei valori della democrazia italiana. Pure la socialdemocrazia, in quell'epoca, diventava qua e là un'organizzazione di clientele. Delle conseguenze che derivarono da tutto ciò, sono tre quelle che minacciano, oggi, di rivelarsi decisive nella crisi della Democrazict cristiana: 1) i « notabili » del partito si sono separati dagli esponenti del1' Azion-e cattolica e sono confluiti per primi nel sistema dei << nuovi venuti », dalle tipiche caratteristiche meridionali (poi si sono inseriti nel sistema anche numerosi esponenti dell'Azione cattolica); 2) l'autonomia politica del partito non ha esercitato più alcun richiamo, i trasformisti hanno anzi sollecitato essi, dal bass~, per evidenti ragioni di autodifesa, la clericalizzazio~e effettiva del partito (alcuni infortuni elettorali della D. C. tra il '50 e il ,53 avevano accreditato la convinzione che il clero, ove aiutava la: destra, ne determinava il successo) ed è nata così una rete di connivenze e di interessi tra basso, medio e alto clero da un lato, il partito dall'altro; 3) è sorta la casta dei capi-•elettori, in grandissima maggioranza legata alle posizioni di potere, e, perciò, al trasformismo, al clerico-moderatismo e al clientelismo. Conclusione: ad u11 partito tendenzialmente orientato verso una politica democratica e moderatamente progressista, si opponeva un elettorato condizionato da capi elettori sostanzialmente reazionari, qualunquistici o clericali. È la situazione che consentirà di lanciare la famosa proposta Sturzo per il «listone» alle amministrative di Roma (cl1e De Gasperi farà fallire). La predi16 Biblioteca Gino Bianco

cazione culturale della sinistra era intanto fallita. Era fallita nel se11so che essa conservava, ideologicamente, l'egemonia del partito (La Pira definì la· sinistra cc l'ala pensante del partito ») ma era troppo avanzata per la società italiana e la Democrazia cristiana, che a11dava per la propria via. Dossetti s'era ritirato in convento. La Pira si me~teva fuori legge esercitando le funzioni di sindaco a Firenze. Per la sinistra, che non cessava d'essere integralista era la grande diaspora degasperiana. Il sistema che nel '53 si trovò minacciato era il sistema del sostanziale immobilismo al vertice (la crisi del ce11trismo, deter1ninata dalla sinistra la'ica, nasce dalla co11sapevolezza di questo immobilis1no ), del vuoto ideologico, della rinuncia ad ogni prospettiva, del cc 1nilazzismo bianco » alla periferia e della clericalizzazione di fatto delle componenti essenziali della D. C. Su queste basi d'improvviso, fu chiaro che non si poteva so1Jravvivere. È a questo punto che il partito si rivela doroteo: la sinistra, colmando il vuoto ideologico al vertice non riprese i propri temi di fondo; li adattò, snaturandoli non alla situazione cl1e si profilava, ma a quella cl1e era in crisi. Accolse co1ne uno « stato di necessità » un sistem~ cl1e altrimenti rischiava di 1norire. Evitò l't1rto, la chiarificazione, la presa di coscienza della realtà. Non affrontò la classe dirigente si insinuo, accomodante, alla periferia. Come fino al '5,3 ave a osato troppo, di rigore e di intransigenza·, ora non osava abbastanza. Fanfani preparava il congresso di Napoli del '54, e lo vinse facilmente: al « sistema » non si offrivano alternative. E Fanfani lo salvò. Non è ancora· dato di stabilire se a Fanfani sarebbe stata lecita possibile, senza rischi di lacerazione per l'intera democrazia italiana, una operazione più ardita di quella da lui compiuta, che si li1nitò alla: conquista degli strtnnenti del potere pro1nettendo di non servirsene contro il « sistema· ». Quasi certamente no 5 • 5 Con ciò naturalmente non i vuol discono cere lo ,forzo in parte riuscito di trasformare e rinnovare il partito farlo crescere nella· consapevolezza d Ila propria relativa autonomia, sforzo a cui i è dedicato Fanfani e che è stato già ricordato . uJle pagine di questa rivi ta. È vero infatti che la DC per tanti a petti si è venuta configurando come un 1noderno partito di massa, con trutture e infrastrutture di tipo con1plesso e ricch di articolazioni. È vero che in que to sen. o, intorno agli anni 50, i era operata una radicale trasformazione del vecchio partito dei notabili popolari in un nuovo partito di quadri politici, organizzativi, sindacali, ecc. Ma è anche vero che la tentazione clientalistica ed opportunistica non è stata 1nai debellata; che il recluta1nento di personale parlan1entare avventizio e raccogliticcio rendeva instabile e precario ogni pre1ninenza del partito sulla rappresentanza p~rlamentare e sul più va to ed arti17 · BibliotecaGino Bianco

Il fatto è che, assunte le leve di comando, la corrente di Fanfa11i si limitò ad operare una scelta programmatica, a lanciare il piano Vanoni, sperando in una soluzione senza urti, cauta e progressiva dei problemi di fondo 6 • Attraverso questa soluzione doveva poi venire, quasi automatico, il rinnovamento della struttura della nostra società e della natura: dello stesso partito democristiano. Era un, operazione di vertice, di sostanziale ispirazione oligarchica. Il suo merito stava nel fatto cl1e appa·- riva la sola possibile, mentre le destre si organizzavano da una parte, Yestrema sinistra si rafforzava dalr altra, i liberali, con Malagodi, si arroccavano su posizioni economicistiche a oltranza e i socialdemocratici consumavano tutto il loro vigore polemico e d'iniziativa nella discussione sui fermenti autonomistici del PSI. Il suo difetto stava in questo: che dava respiro al « sistema » democristiano e consentiva alla classe dirigente di seguire Fanfani fino al limite della revisione delle strutture sociali. Comunque, si creò, intorno a Fanfani, un nuovo n11cleo dirigente. Esso :1on denunciava il vuoto ideologie~ della « prima generazione » democristiana, risultava anzi pi11ttosto preparato. Ma veniva anch'esso dal « sistema », era espressione di una dissidenza: interna al cc sistema », e, sostanzialmente, ne adottava i metodi, applicandoli con 1naggiore acco1tezza e con minore rigidità. Le elezjoni del ,58 furono un s11ccessoper la Democrazia cristiana·, furo110 u11effettivo insuccesso per Fanfani, e dimostrarono, con i loro risultati, a considerarla oggi, cl1e la Domus Mariae era fatale. Gli elementi fondamentali del cc sistema » sopravvivevano : l' esistenza di una classe dirigente costituitasi come casta inamovibile; jl colato mondo cattolico, esponeva i quaclri del partito alla pressione continua di forze organizzativamente estranee, o addirittura presentava il pericolo di far degenerare il partito stesso in 1:1nafederazione di gruppi di potere. 6 Il Piano Vanoni poteva rappresentare una piattaforma efficace nella sua formulazione iniziale e in uno spirito di rigorosa e inh·ansigente austerità. Chi scrive ricorda che quando, nel '54, \7 anoni presentò il suo Piano all'OECE, a Parigi, e ne ebbe accoglienze sinceramente favorevoli, il 1ninistro era il solo che si mantenesse scettico e riservato nel generale entusiasmo. Chi scrive domandò a Vanoni se creiesse possibile il realizzarsi in Italia delle condizioni per l'attuazione del Piano, e il ministro, senza esitare, rispose: « No, con una classe dirigente come la nostra, no. Noi abbiamo assolto ad un dovere di coscienza, ma sappiamo che il paese, che nessuno esorta alla discjplina economica, non capirà». Possian10 testimoniare che Vanoni dava un'importanza concreta, invece, al fatto d'aver cr'eato un nucleo di giovani sensibili ai proble1ni che gli erano a cuore, capaci di « pensare » un Piano e di stenderlo. Di questo risultato egli era molto fiero: cc prima non c'era niente, egli ci disse, ora c'è qualcosa >i• 18 BibliotecaGino Bianco

trasformismo alla base; la dipendenza elettorale dalle organizzazioni esterne a'l partito; la volontaria sottomissione alle gerarchie ecclesiastiche. Il fenomeno Milazzo scoppiò nelle mani di Fanfani a rivelargli cl1e il cc sistema », all'estremo limite siciliano della sua degenerazione, era a pezzi. La reazione a Milazzo fu una rea·zione del << sistema » contro la sua stessa ultima propaggine. Furono i fanfani ani che mossero i primi passi per far intervenire poi, più tardi, alla vigilia delle elezioni in Sicilia·, le gerarchie ecclesiastiche (col famoso decreto del 4 aprile). Si può ritenere cl1e questa fu l'ultima concessione che Fanfani faceva al partito, ma era una grossa concessione, senza promessa di contropartite. Prima della crisi cl1e lo portò alle dimissioni dal governo e all' abbandono della segreteria, Fanfani doveva constatare che, in virtù delle concessioni da lui fatte, il vecchio partito ritrovava fiato: con le contraddizioni tra l'orientan1ento apparente degli organi direttivi e i gruppi parlamentari, la volontà di rimanere come casta egemonica, la1 spregiudicatezza dei metodi, l'assenza di piani, l' effettiv~a sottomissione alle gerarchie ecclesiastiche, nella misura in cui sono esse che garantiscono i] mantenimento del potere. I vecchi e i nuovi « notabili », consapevoli ora d'esser t~li, e come tali di doversi difendere, si organizzarono: di qui il momento doroteo come un momento di emergenza per una classe dirigente che si è ridotta all'isolamento e che perciò è portata· a far convivere, in uno stato di attesa immobilistica, tutte le proprie componenti. Il punto debole dei dorotei sta nella necessità di non lasciare a Fanfani, e in genere alla sinistra del partito, libertà di manovra·. I dorotei no11vogliono lo scontro : a Firenze hanno preferito vincere allea11dosi con la destra ma proponendo il centro-sinistra. Essi hanno bisogno di Moro. Ma Moro è stato l'uomo che nel settembre scorso, commemorando Don Sturzo, rivendicò l'autonomia politica del partito, denunciò il pericolo delle pressioni clericali, ricordò che la D. C. è un partito popolare e antifascista:, respinse ogni tentazione di cc forme di fascismo mascherato » e accolse, nella sostanza, l'appello di Fanfani di volgersi alla base del partito sottoponendo ad essa la sort~ dei gruppi dirigenti. Quel1' appello di Fanfani aveva provocato tra: i dorotei reazioni furibonde: Piccioni teorizzò il diritto dei cc notabili » a specialissime prerogative, come uomini « che sanno quel che fanno » e lo sanno « meglio degli altri nel partito ». La definizione anticlericale del partito arrischiata da Moro portò cc L'Osservatore Romano » a una replica di inusitata vio19 Biblioteca Gino Bianco

lenza e mise i11moto la capacità di pressione delle gera·rchie ecclesiastiche e dell'Azione cattolica, che da allora si è sviluppata sempre più 1 • L' episo,dio dell'appello di Fanfani alla base e delle reazioni che suscitò non è stato, a suo tempo, segnalato come meritava dalle cronache politiche e non ancora è considerato importante ai .fini di un esame della situazione. Esso, tuttavia, è altamente indicativo: nello stato n1aggiore del partito si diffuse letteralmente il panico. Erano gli ultimi giorni dell'agosto del '59: da quel momento venne meno perfino il cc fair play » tra gli esponenti democristiani e si consumò definitivamente la rottura tra la sinistra e il resto del partito. In quell'occasione Fanfani fu fortemente sostenuto dal gruppo dei sindacalisti di cc rinnovan1ento », espressione della base operaia settentrionale del partito, che, poi, in molte altre occasioni, s'è rivelato come il 11ucleo più saldo, coerente e alieno da ogni tatticismo trasformista, della D.C .. I sindacalisti sono ora i soli, in pratica, che mantengano viva l'esigenza di un controllo costante. della base sugli esponenti della D.C. e rifiutino la singolare teorizzazione di Piccioni, La sinistra diventa tuttavia sempre più consapevole della 11ecessità di superare questa situa•zione di disagio nella quale non e' è quasi comunicazione tra esponenti e militanti e i rapporti tra la base e il vertice sono mediati no11dalle sezioni del partito e neppure dai q11adri intermedi ma da:lle gerarchie ecclesiastiche, dai Comitati Civici e dall'Azione Cattolica nella misura in cui questi organismi controllano il corpo elettorale. In questa situazione, invece, i dorotei si asserragliano: per essi, il partito conta sempre meno, il gioco di vertice sempre più e la' sola realtà valida è qt1ella del controllo del corpo elettorale. È questo, forse, il dato essenziale che rivela, nelle contingenze attuali, la funzione dei dorotei: cc governare » il corpo elettorale, disciplinarlo, impedire che esso comt1r1ichi con un partito che nonostante tutto, evolve. Nelle more della crisi ultima di governo, s'è visto che tra parlamentari e· partito le distanze si sono rivelate incolmabili e cl1e il partjto ha dovuto piegarsi dinanzi ai parlamentari. È 7 Si è rinunciato, in questa sede, a ricordare le diverse fasi del grande dibattito precongressuale, con1e non si accenna, perchè non strettissimamente pertinenti al1' esame puro del' microcosmo doroteo, al dialogo e alle polemiche col PSI. Non si affronta, perchè lo si ritiene anch'esso elemento non strutturale nei dorotei, il problema dell'apertura a sinistra. Comunque, durante il dibattito precongressuale, si vide che, al tatticismo dei leaders, faceva riscontro, in tutte le correnti, una discreta preparazione dei quadri medi; 1na i militanti, nei loro interventi, rivelarono un generale ed egualmente diffuso squallore di idee e di impegno ideologico. 20 BibliotecaGino Bianco

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