Nord e Sud - anno VII - n. 5 - giugno 1960

più qualificati .del pensiero eco11omico, i quali si arresero al sistematico sforzo immobilistico compiuto da quanti - funzionari dell'amministrazione statale ed operatori privati - sarebbero stati dal Piano obbligati a rendere qualche conto della loro attività e sollecitati a coordinarla in un disegno più ampio della propria « l1olding » o della propria cc Direzione Generale » . La impreparazione del sistema burocratico italiano a tutti i livelli ad assumere le responsabilità imposte da una politica di sviluppo è t1niversalmente nota (e proprio per questo la riforma della contabilità g•enerale dello Stato è, come si è detto, un fatto i1nportante). Ma si può forse solo per ciò concluderne che una politica di sviluppo è improponibile? Vi è una fortissima tentazio11e in questo senso presso gli am- . bienti più vari e, spesso, più inipegnati: poichè il fattore umano nello sviluppo ,dei vari settori pubblici e privati lascia tanto a desiderare, si dice, concentriamo i nostri sforzi su questo, e tutti i problemi, prima o poi, si risolveranno da soli. È evidente come un'affermazione esatta, e perfino ovvia, rischia di tradursi in un alibi ideologico, ed in un'evasione dalla responsabilità del momento. Nè deve recare sorpresa l'inerzia del pe11siero economico più qualificato. Vie11e qui fatto di ricordare il tagliente giudizio di Myrda1, il quale, dopo av,er liquidato tutta la teoria economica tradizionale come razionalizzazione dei concreti interessi degli ambienti socialmente dominanti, spiega la generale accettazione delle « leggi economiche » da solo non sono sempre conformi alle esigenza di un possesso di sviluppo,· ma spesso non rispondono nemmeno a criteri di stretta « econo1nicità ». Sono frequenti infatti gli investimenti di prestigio, o d'interdizione nei riguardi dei gruppi concorrenti. Il vecchio modello dell' « iniziativa privata » è ancora valido per i piccoli e piccolissimi complessi, che si trovano però ad operare in un mercato largamente non concorrenziale, ed in cui la grande impresa rappresenta un'economia esterna o un fattore limitativo. Le « preoccupazioni » che l'intervento pubblico nell'economia desterebbe negli « operatori privati » è frutto di un equivoco, sostenuto dalla stampa e agli studiosi di destra; gli interessi della grande impresa monopolistica e quelli della piccola industria sono largamente in conflitto: un controllo statale sulla grande industria tendente ad attivare entro certi limiti la concorrenzialità del sistema risponde in pieno agli interessi della collettività ed a quella degli imprenditori che, secondo l'economista di cui sopra, ,, vogliano risparmiare e sappiano iuvestire » assumendone il rischio in prima persona. La « libera concorrenza » può solo essere assicurata, paradossalmente, dall'intervento pubblico. Concetti come « risparmio », « rischio economico », « investimento » ecc. assumono connotazioni molto diverse da quelle prevalenti nella prima metà del secolo scorso. 87 Biblioteca Gino Bianco

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