Nord e Sud - anno VII - n. 5 - giugno 1960

e le deficienze tradizionali della « élite » meridionale: eccessivo individualismo, l'incapacità della coperazione, il rifiuto di comunicare. Se a tutto ciò si aggiunge un'organizzazione arcaica ed irrazionale, del cui smantellamento si parla ormai da decenni, è facile rendersi conto della pericolosa secca in cui si è tirata la scuola d'ingegneria. Ora, ad avviare un processo di svecchiamento della scuola ed a rendere perentoria la esigenza di snellire l'organismo è venuta la riforma di cui sopra. Questa ultima offre l'occasione per risolvere i problemi che si è detto, ma, ovviamente, non rappresenta il toccasana per i mali che afB.iggono la Università. Interessante per il modo in cui ha discusso i problemi delle Facoltà scientifiche in Italia è stato un convegno sugli st11di superiori, tenuto a Bologna il 2 e 3 aprile per iniziativa della rivista cc Il Mulino », convegno che ha avuto larga eco in tutta la penisola. In esso sono state denunziate: l' ina·deguatezza delle attrezzature, il superaffollamento dei corsi, l'insufficienza del numero dei professori e assistenti, le complicazioni burocratiche, tutte remore che ne impediscono il regolare funzionamento. A questi problemi tutti di estrema gravità si aggiunge quello gravissimo dei' « fuori corso ». È chiaro che non ·spettava ai legislatori occuparsi di questo fe11omeno; e che in ogni caso non era possibile, come taluno proponeva, un puro e semplice prolungamento della durata del corso a sei anni, sia perchè questo fenomeno è caratteristico di certe Università, sia perchè in tal modo si sarebbe aggirato l'ostacolo piuttosto che affrontato e quindi lo si sarebbe solo dilazionato. Un particolare non privo di interesse è l'incidenza dei cc fuori corso » che risulta percentualmente molto meno elevata a Torino e Milano che altrove. Ed è noto, d'altronde, che le scuole d'ingegneria sono quivi le più organiche e funzionali; e certamente ad esse si sono ispirati i legisla·- tori nello stendere il nuovo ordinamento. La necessità di non prorogare più oltre questo stato di cose, che riveste ormai un carattere sociale, è evidente: non si può impedire o ritardare di anni l'inserimento di alcune migliaia di ingegneri nella società senza grave danno per questa e per quelli. E se 9a una parte è vero che questo fenomeno è conseguenza della crisi dell'Università, dall'altra non è meno vero che esso è particolarmente acuto nelle facoltà d'Ingegneria di Napoli, Bari, Palermo e Roma ed è, quindi, anche un problema interno di esse e della loro organizzazione. E non è difficile rintracciare le cause : A Napoli, per esempio, una piccola indagine fra studenti e professori suggerirà unanimamente, come maggiori responsabili, dell'alto numero dei « fuori corso » la difficoltà di superare l'esame di Scienza delle costruzioni e di Meccanica delle macchine. Non meno del 50% degli allievi ingegneri napoletani sono bloccati per almeno due anni su queste materie. Taluno obbietterà che queste due materie rappresentano i cardini sui quali poggia la preparazione di un ingegnere: è vero, ma, l'aspetto, non si sa se più ridicolo o tragico in tutta q11esta faccenda è che gli studenti napoletani non risultano affatto più preparati nelle materie suddette ·dei loro colleghi delle altre università; al contrario. 72 Biblioteca Gino Bianco

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