La questione no11 sta tanto 11el favorire la formazione di nuclei familiari più ampi di quello primario (ed è inutile sottolineare gli in·• convenienti delle « grandi famiglie », sia pure di estrazione contadina le quali finirebbero per ripetere ,e con più salde radici, il triste fenomeno delle clientele), bensì nel determinare u11a nuova visione di quei rapporti. E il problema ormai non interessa soltanto il contadino meridionaJe, ma tocca una delle più gravi malattie che affliggono il nostro paese. In Italia, oggi, la famiglia, i doveri verso la famiglia, gli affetti familiari, insomma l'atteggiamento del « tu sola sei vera », è la più comune giustifìcazio11e retorica e, assieme, il motivo dell'indifferenza morale e politica. E i11veoedi « amoral familism », meglio sarebbe parlare addirittura di « qualunquismo fan1iliare ». Benchè da più parti si levino allarmi per la disgregazione e la corruzione del focolare, mai, si può dire, il tabù della famiglia e dell'interesse fami~iare ha dominato in ma11iera tant9 cieca e dispotica la nostra società, e che Banfield sottolinea senza infìngimenti retorici e sentimentali. Oggi, pur affermandosi il rapporto tra civiltà e concezione individualistica, tra progresso ed emancipazione psicologica, si tende a rivalutare certe arcaiche concezioni familiari, le quali, lt1ngi dal rafforzare il tessuto sociale lo spezzano in una serie di mondi ostili ed inaccessibili. Il libro di Lacalamita è la trasposizione di questa tendenza sul piano meridionalistico. Le tesi di Banfìeld, sia pure animate da più onesti, se pure ingenui motivi, con la difesa delle strutture cc patriarcali » si pongono nella stessa errata prospettiva. E perciò, un qualsiasi discorso che volesse avviarsi sulla necessità e sui modi di rinnovamento della società italiana deve necessariamente respingerle. 60 BibliotecaGino Bianco
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